Data:
13 Luglio 2008

Caro Direttore, 
 

le questioni eticamente sensibili sono state davvero accantonate, messe da parte da una trasversale connivenza (e convenienza) degli schieramenti politici? Pierluigi Battista, nell’editoriale di ieri, sostiene di sì: il caso Englaro avrebbe messo in evidenza l’imbarazzo bipartisan nell’affrontare temi — come l’eutanasia o la procreazione assistita — che possono creare divisioni interne, e che nessuno, a destra come a sinistra, sa come maneggiare senza scottarsi.
Qualche ragione Battista ce l’ha: dopo le elezioni il dibattito si è acquietato, forse per una certa stanchezza. La sinistra radicale, che è stata protagonista dell’accelerazione verso i «nuovi diritti individuali », oggi si interroga sulla propria devastante sconfitta, a cui forse anche quella linea politica non è stata estranea; stessa sorte è toccata ai socialisti, che hanno giocato, negli ultimi anni, la carta del laicismo ideologico. Per il Pd toccare i temi etici è come andare volontariamente in cerca di guai e spaccature, in un momento non certo sereno del loro percorso; ma non credo che per il Pdl valga lo stesso criterio. Con fatica, il centrodestra sta elaborando una nuova cultura politica, che va oltre gli schemi liberal-liberisti di dieci anni fa, e si confronta con gli scenari della tecnoscienza e con le questioni di biopolitica. Si vedrà presto, in concreto, che il governo sa dove andare, su tutte le questioni citate da Battista, senza sventolare bandiere ideologiche ma senza timidezze.
Il caso di Eluana Englaro, però, non è il prodotto di un’incertezza della politica, ma di un’invasione di campo della magistratura. Non tutti si sono accorti delle conseguenze della sentenza emessa dalla Cassazione l’anno scorso: una sentenza che, di fatto, introduce in Italia qualcosa di molto simile all’eutanasia, scavalcando tutte le discussioni parlamentari e la ricerca di una posizione condivisa sul testamento biologico. Secondo la Cassazione, infatti, non serve un testamento scritto, una volontà chiara e certificata. Perché ad Eluana siano tolte l’alimentazione e l’idratazione (non c’è nessuna spina da staccare, perché la ragazza respira da sola) basta considerare i suoi «stili di vita» e alcune dichiarazioni pronunciate davanti a testimoni. Insomma: nessuno permetterebbe che un bene materiale, una casa, ma anche solo un’auto, passasse in eredità senza un testamento scritto, con tanto di bollo notarile, mentre per lasciar morire una persona bastano un paio di frasi dette davanti a qualcuno. Ma quale sarà mai lo «stile di vita» che permette al giudice di decidere per la morte? Eluana è morta 16 anni fa, si dice. Ma allora perché, per esempio, non autorizzare fin da subito l’espianto degli organi? Perché non allargare il criterio di morte clinica anche a chi è in stato vegetativo permanente? E ancora: la sentenza si potrebbe impugnare, la procura potrebbe ricorrere, ma si rischia che sia troppo tardi, e che se mai un altro giudice decidesse diversamente, il danno non si potrebbe più riparare. Se Eluana viene lasciata morire, non sarà possibile attendere una ulteriore pronuncia giudiziaria, non saranno valide, per lei, le garanzie che valgono per gli altri cittadini italiani. È possibile che questo avvenga, e che si crei un precedente così pericoloso?
Non so se la politica riuscirà a fare qualcosa, se esiste una soluzione per riportare un po’ d’ordine, e di umanità, in tanta confusione. Faremo di tutto, però, perché il caso di Eluana non scivoli nel silenzio lamentato da Pierluigi Battista, non sia una morte burocratica e inevitabile.


 

 

Eugenia Roccella
13 luglio 2008  


Ultimo aggiornamento

11 Giugno 2019, 23:24

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