Papa: “No a eutanasia anche per malati irreversibili” – Mina Welby : ” Suicidio assistito: morte volontaria assistita, richiesta dal malato terminale e rispetto alla quale il medico ha il dovere di agire” (da adnkronos del 3 gennaio 2020)
Data:
4 Gennaio 2020
Pubblicato il: 03/01/2020 13:50
di Enzo Bonaiuto
Il Papa spiega che “nell’esperienza del limite e del possibile fallimento anche della scienza medica di fronte a casi clinici sempre più problematici e a diagnosi infauste, siete chiamati ad aprirvi alla dimensione trascendente, che può offrirvi il senso pieno della vostra professione. Ricordiamo che la vita è sacra e appartiene a Dio, pertanto è inviolabile e indisponibile”.
E, rivolto ai medici e agli operatori sanitari, sottolinea: “La vita va accolta, tutelata, rispettata e servita dal suo nascere al suo morire: lo richiedono contemporaneamente sia la ragione sia la fede in Dio autore della vita. In certi casi, l’obiezione di coscienza è per voi la scelta necessaria per rimanere coerenti a questo sì alla vita e alla persona. In ogni caso, la vostra professionalità, animata dalla carità cristiana, sarà il migliore servizio al vero diritto umano, quello alla vita. Quando non potrete guarire, potrete sempre curare con gesti e procedure che diano ristoro e sollievo al malato”.
Mina Welby, copresidente dell’Associazione Luca Coscioni, commenta all’Adnkronos: “La professionalità medica prevede l’attenzione anche al malato in condizioni non più gestibili dal punto di vista della guarigione e del sollievo dalla sofferenza: in questa fase, è compreso anche il suicidio assistito che io preferisco chiamare morte volontaria assistita, richiesta dal malato terminale e rispetto alla quale il medico ha il dovere di agire“.
“Esistono diversi metodi, non solo la prescrizione o la somministrazione di un medicinale che provoca la morte – ricorda Mina Welby – ma c’è anche l’interruzione di terapie che la stessa Chiesa appoggia e prevede, lì dove il malato può rifiutare trattamenti sanitari non più utili per il suo benessere e cura o per superare le sofferenze non più arginabili, ovvero il cosiddetto accanimento terapeutico: il malato può chiedere di interrompere questi trattamenti e i medici possono e devono farlo, come è stato il caso di mio marito Piergiorgio Welby. E’ il malato che deve chiederlo, non è il medico che deve decidere o che può rifiutarsi di agire: non si provoca la morte, ma si accetta di non poterla impedire”.
Ultimo aggiornamento
4 Gennaio 2020, 13:19
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