VISITE MEDICO-SPORTIVE ANCHE IN SAGRESTIA di Marco Bonarrigo (da un articolo di Panorama – 4 giugno 2009)

Data:
13 Agosto 2015

QUALE SITUAZIONE OGGI NELLA NOSTRA PROVINCIA DI LATINA?!

Succede pure questo nel gran business dei certificati per l’idoneità agonistica.
L’esame sarebbe molto utile anche come screening di massa, l’unico dopo l’abolizione della visita di leva. Invece nella pratica quotidiana si moltiplicano abusi e controlli non conformi alla legge, effettuati nei posti più impensabili.


Ci sono gli specialisti che non hanno ottenuto l’idoneità per il loro studio, giudicato dalla ASL troppo piccolo o con apparecchiature vetuste o inadeguate.
Lungi dallo scoraggiarsi, per sfuggire ai controlli montano le delicate attrezzature d’esame e visitano dove capita: un camper, la sala di un ristorante o la sagrestia di una parrocchia: come quella, in provincia di Viterbo, dove un medico e un suo collaboratore ogni pomeriggio “certificano” 40 giovanissimi calciatori.

Ci sono gli specialisti che non hanno tempo per visitare e distribuiscono certificati in bianco ai medici di base o a infermieri compiacenti, dividendo con loro la parcella. La visita però non la esegue nessuno dei due.

E ci sono medici che la visita la fanno pur non essendosi mai specializzati: basta un timbro con un codice di fantasia.
C’è questo e molto altro dietro i due milioni di certificati medici d’idoneità agonistica rilasciati ogni anni in Italia: un flusso che oscilla tra oasi di virtuosismo e difesa della salute e incredibili casi di “malapratica” e carenza di deontologia.

Istituito nel 1982, standardizzato a livello europeo, quello sportivo è il certificato medico-legale più rilasciato in Italia. Il sanitario che visita, oltre alla laurea deve aver conseguito la specializzazione in Medicina dello Sport e una specifica autorizzazione regionale. Firma quindi per conto dello Stato, garantendo che dietro la sua sigla ci sono un’anamnesi accurata, la misurazione dei parametri antropometrici, elettrocardiogramma a riposo, da sforzo e nel recupero, misurazione della pressione arteriosa prima e dopo lo sforzo, spirografia, test visivo, esame delle urine. Insomma, un vero check-up, obbligatorio per chiunque svolga un’attività agonistica, anche se amatoriale (per la semplice pratica di uno sport è spesso richiesto solo un certificato di sana e robusta costituzione).

“Dopo l’eliminazione dei presidi sanitari scolastici e l’abolizione del servizio di leva, questa è l’unica forma di screening medico di massa, oltretutto a carico dello Stato per minorenni e disabili, e con visite calibrate per ogni sport” spiega Maurizio Casasco, presidente della Federazione Italiana Medici Sportivi (FMSI). I risultati dell’obbligo di legge sono inconfutabili: in Italia la morte improvvisa da sforzo è calata del 90% da quando le norme sono in vigore, inferiori di molte volte la media europea.
I dati di Casasco varrebbero da soli la difesa della legge e della sua applicazione. Stando a uno studio del Registro per la patologia cardiovascolare della Regione Veneto, le vite di giovani atleti salvate sono almeno quattro ogni 100.000 screening effettuati. Tuttavia, il grosso giro d’affari che sta dietro i certificati (una visita scrupolosa costa dai 45 ai 130 euro) incoraggia chi di scrupoli ne ha pochi. Si aggiungono gli scarsi controlli, la difficoltà a sanzionare chi si comporta male e l’inerzia delle regioni, che dovrebbero vigilare attraverso le ASL.

La FMSI assicura che i medici incompetenti e in malafede sono pochi, ma il giornalista che per Panorama si è fatto “visitare e certificare” da svariati specialisti ha visto una realtà diversa: molto gravi le omissioni riscontrate in strutture private, soprattutto nelle regioni del Centro-Sud.

Antonio Fiore, romano, è il medico della nazionale di Scherma e un qualificato operatore di base. “Nel Centro-Sud resistono i “cantinari”, gli “hobbisti”, quelli che hanno la medicina sportiva come terza specializzazione e considerano i 45 minuti necessari per la visita medico-sportiva una perdita di tempo. I più pericolosi sono quelli che concentrano decine di bambini delle squadre di calcio in locali non idonei e non autorizzati dalle ASL, e li visitano tutti in poche ore, per far risparmiare soldi alle squadre”. La legge prevede infatti che il medico specializzato debba essere autorizzato a certificare e debba vedersi autorizzare anche i locali e le attrezzature (ecg, spirometro).


Troppo spesso questi obblighi vengono ridicolizzati nei fatti. A Roma esistono medici che sfornano centinaia di certificati l’anno senza essere specializzati e che spesso nemmeno visitano. Ci si arriva per “passaparola” fra le società sportive, quasi sempre quelle amatoriali.
I certificati a prima vista sembrano autentici, a un controllo nemmeno troppo accurato mostrano codici di autorizzazione (FMSI o ASL) inventati. Un gran numero di certificati fasulli passa dalle mani del medico a quelle dell’atleta, al presidente della società (che ne è il legale depositario) senza lasciare traccia. Salvo nel caso in cui l’atleta muoia in allenamento o in gara.

Pochissime regioni si sono attrezzate per contrastare questi illeciti, in testa c’è la Lombardia. “Noi abbiamo preso due provvedimenti risolutivi” informa Laura Zerbi, della direzione sanità della Regione Lombardia. “Il primo è stampare i moduli di certificato centralmente e numerarli prima di consegnarli ai medici autorizzati. Il secondo è informatizzare tutto il sistema: dal momento in cui esce dalla tipografia a quando viene firmato, il certificato è sempre sotto controllo. E così abbiamo anche risolto il problema delle persone non idonee, la cui sospensione dall’agonismo fino al completamento dei controlli è comunicata in rete subito, impedendo che vaghino da un medico all’altro trovando alla fine quello che firma per sfinimento. Li mettiamo in condizione di non rischiare.”
Un meccanismo del genere è sconosciuto nel Lazio o in Campania, dove il certificato assume tutte le forme possibili, dal protocollo serio allo scarabocchio illeggibile, e dove l’informatizzazione centrale del sistema è solo un’idea.
A fianco degli specialisti fasulli ci sono medici veri ma frettolosi o incompetenti. Quello che trasforma la prova sotto sforzo in una sorta di test massimale (nel caso del cronista sovrastimando del 30 per cento le capacità aerobiche) per poi consegnarti improbabili tabelle di allenamento. Quello che colloca male gli elettrodi dell’ecg sotto sforzo, ottiene un tracciato da infartuato ma archivia la pratica. Quello che esegue l’anamnesi in 40 secondi, bloccando ogni sforzo di comunicare …
Ma cosa fa la Federazione Medico Sportiva? “Siamo attivi ma fatichiamo a ottenere ragione” afferma l’avvocato Giorgio Martellino, che cura i ricorsi dell’ente. “Basti pensare che lo scorso anno il tribunale di Roma ha archiviato il nostro esposto contro un medico non specialista che rilasciava certificati senza averne diritto e apponendo un codice regionale inesistente. La tesi del giudice è stata che un medico ha diritto a certificare a prescindere. Certo, la giurisprudenza in altri casi ci ha dato ragione, ma in questo contesto non ci sono certezze …”.
C’è poi il problema di cultura sanitaria dei pazienti. “Viviamo in un paese dove una famiglia spende 200 euro per le scarpe da calcio del figlio ma storce il naso di fronte ai 60-70 di una visita da un buon medico, che potrebbe rivelare patologie serie”, si rammarica Fiore. “E sono migliaia i cinquantenni o i sessantenni che corrono le maratone podistiche o ciclistiche ma farebbero carte false pur di evitare il confronto con uno specialista. In un contesto del genere i medici faciloni hanno la strada spianata.”

 

Ultimo aggiornamento

13 Agosto 2015, 14:33

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