Sul tema della prescrizione di medicinali da parte degli infermieri serve una svolta culturale (da quotidianosanita.it del 10 marzo 2018)

Data:
10 Marzo 2018

09 MARGentile direttore,
ho partecipato alle giornate romane del primo congresso nazionale OPI e, irrobustito da anni di esperienza, ho vinto una scommessa che ho acceso con i Colleghi spezzini presenti (solo un caffè, tanto era scontata la conclusione della stessa: non mi piace vincere facile); il tema, le attese repliche alle dichiarazioni del Prof. Mario Melazzini, Presidente AIFA.

Immaginavo le repliche, e queste sono giunte precise, puntuali – già nella stessa giornata di mercoledì! – da ogni fronte, ordinistico e sindacale, degli amici Medici. I quali fanno la loro parte, e lo comprendo perfettamente: ma credo sia chiaro che non stiamo cercando di ”rubare” la scena a nessuno.

Il Professor Melazzini è una persona, peraltro, eccellente, stimata in ogni contesto e che forse proprio per questo diventa ancora più temibile se propone ”cose nuove” intorno all’Infermiere italiano; ed a questo punto mi permetto di fare ”copia & incolla” dal Vostro testo sia per non sbagliare nel citarlo, sia per ribadire che non ha detto ”gli Infermieri prescriveranno i farmaci proprio come i Medici”, ma ben altro, come qui si legge:

”….L’infermiere, nella mia visione, svolge un ruolo da co-protagonista e un cambiamento nell’approccio culturale alla professione potrebbe consentire di allargarne ulteriormente gli orizzonti, così come accade in altri Paesi europei. Ad esempio, nel Regno Unito, l’infermiere ha la possibilità di prescrivere un numero ristretto e ben definito di farmaci, nel contesto di un piano clinico paziente specifico dopo diagnosi medica. Altra esperienza di rilievo è quella della Spagna, in cui non si parla mai di prescrizione ma di dispensazione di medicinali. L’ordine di dispensazione è il termine utilizzato al posto della ricetta medica.”

L’approccio culturale. Queste parole sono decisive. Sono parole centrali, e sono la chiara sintesi di ciò che manca in Italia: una apertura culturale che sostenga veramente i malati,i più fragili in particolare, e non tanto i professionisti coinvolti. Quando alcune sigle di sindacato medico contestarono – venendo poi sconfitti al TAR – l’apertura dei reparti a degenza infermieristica nel Lazio, erano più preoccupati della qualità delle cure, o del fatto che spariva un direttore di struttura complessa e due o tre di struttura semplice?

Quando un Infermiere delle cure domiciliari valuta che un anziano ha necessità di un tripode, di una sedia a rotelle, di un qualsiasi ausilio, che cosa succede, di norma, quasi ovunque nel Belpaese? La segnalazione deve raggiungere la scrivania di un dirigente medico il quale, senza avere mai visto il malato, ne autorizza la fornitura.

Procedimento non gratuito, in questa seconda fase: ma quanto si risparmierebbe (anche in termini temporali!) a far completare la richiesta da quel professionista che ha visto, toccato, parlato, con il malato a casa sua, osservato l’ambiente; e infine compreso di che cosa ha bisogno?

Il giorno che tutte le parti in causa comprenderanno le ricadute positive della svolta culturale che il prof. Melazzini cita a proposito, ma non solo , del farmaco, sarà un giorno davvero speciale ed importante, per tutti ma – insisto su questo – soprattutto per i pazienti.

Non è un caso che l’ottimo Tonino Aceti di Cittadinanzattiva sostenga – e da tempo – lo sviluppo, la crescita, l’adeguamento delle dotazioni e gli adeguamenti normativi delle professioni sanitarie, quella infermieristica in particolare, ”al fine di garantire maggiore accesso, qualità e sicurezza delle cure”.

Francesco Falli
Vice Presidente OPI La Spezia

Ultimo aggiornamento

10 Marzo 2018, 14:39

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