Sempre meno medici vogliono entrare nel Ssn e il sistema rischia il collasso. Ecco perché (da quotidianosanita.it del 25 marzo 2019)

Data:
25 Marzo 2019

Non è solo un problema di vincoli e tetti di spesa. La realtà è che ormai lavorare nel pubblico per un medico non sembra essere più la meta. E un neo specialista su quattro sceglie il privato. Carriere bloccate, stipendi livellati e flat tax tra le cause di un’emergenza ancora troppo sottovalutata. Anche nelle Università, dove la carenza di nuovi docenti medici mette a rischio la sopravvivenza delle scuole di specializzazione

25 MAR – Dirigo un Policlinico romano e in questi mesi la mia difficoltà più grande è trovare medici da  assumere,  appartenenti ad alcune discipline delle quali l’ospedale è carente, nonostante un piano assunzionale che mi consente di acquisirli e nonostante la mia Regione abbia aperto da tempo una grande stagione di concorsi, finalizzati sia alla stabilizzazione del personale precario che all’acquisizione di nuove risorse.

La bontà di una struttura sanitaria dipende sostanzialmente da due fattori: il primo, in assoluto preponderante, i propri professionisti sanitari, medici e non; il secondo, una buona organizzazione promossa da vertici preparati e consapevoli del fatto che sono chiamati a preservare il Servizio più importante e più complesso del Paese. E la prima preoccupazione di una direzione strategica accorta non può che essere quella di acquisire e conservare risorse preparate, adeguate ai volumi di prestazioni, motivate, orientate ai migliori percorsi di cura.

Ma, indipendentemente dal ridimensionamento  dei  vincoli in materia assunzionale, ai quali il Ministero della Salute, il Mef e le Regioni stanno lavorando in questi giorni, chi potremo assumere? Quali prospettive potremo dare ai nostri medici? In un SSN che vede la  concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private accreditate, esiste, sotto il profilo lavoristico, simmetria di condizioni circa l’offerta di lavoro? E, più in generale, quali conseguenze di una eventuale asimmetria rispetto al mondo dell’assistenza integrativa? Ed infine, sempre sul versante lavoristico, cosa può avere spinto regioni virtuose nella sanità a richiedere maggiori autonomie?

Cominciamo dai problemi che rendono davvero molto difficile acquisire risorse umane.
Quanto ai vincoli di carattere generale, nei giorni scorsi, i Ministeri Salute ed Economia e le Regioni hanno chiuso un accordo per lo sblocco del vigente tetto di spesa del personale, che, ovviamente, dovrà essere tradotto in legge di modifica dell’attuale vincolo della riduzione dell’1,4 % della spesa rispetto a quella sostenuta nel 2004 (non è detto che il nuovo vincolo individuato sia sempre superiore al precedente, ma è comunque apprezzabile la volontà di recuperare un versante critico).

A quanto si legge nella bozza del Nuovo Patto per la salute 2019/2021, elaborata dal Ministero della Salute, pubblicata su QS il 22 marzo, un  punto centrale, molto opportunamente, è costituito dalla creazione di un organismo paritetico Stato Regioni che, con il supporto di Agenas,  “definisca una proposta di revisione della normativa in materia di obiettivi per la gestione e il contenimento del costo del personale degli enti del SSN”, con la contestuale individuazione di misure urgenti per superare i vincoli vigenti e consentire alle Regioni di essere considerate adempienti ove, pur non rispettando il parametro della spesa, abbiano conseguito l’equilibrio economico, abbiano garantito i Lea ed abbiano avviato atti per il processo di adeguamento al DM 70.

Per le Regioni in piano di rientro, rimarrebbero validi gli obiettivi di contenimento previsti nei piani operativi, salvo successivo aggiornamento a seguito della definizione dei nuovi obiettivi per la gestione e il contenimento del costo del personale. Credo che, in realtà, sia ora di revisionare la norma sui piani di rientro relativamente al blocco automatico del turn over, risalente alla finanziaria del 2005, poichè crea diseguaglianza nelle cure,  costi in termini di mobilità passiva e, talora, nessun risolutivo beneficio,  come l’esperienza ha ormai dimostrato. Difficilmente si esce dai deficit se non si investe in risorse pregiate.

La fotografia attuale ci consegna un Paese nel quale la programmazione dei fabbisogni formativi medici, per problemi legati ad equilibri di bilancio del Miur e delle Regioni, è, ed è stata negli anni, carente, soprattutto per alcune discipline, nonchè per i MMG. Bisogna dare atto che la finanziaria 2019 ha iniziato un percorso inverso, potenziato da alcune Regioni con risorse proprie. Ma la strada del riequilibrio è ancora lunga e per moltissime discipline è difficilissimo reperire professionisti, con necessitato aggravio di lavoro per gli organici in forza nelle strutture (si pensi all’area dell’emergenza, dove comunque, anche con risorse limitate, occorre garantire la presenza medica, in un paese ospedalocentrico e che fa un grandissimo ricorso ai ps) o con allungamento delle liste di attesa (si pensi agli anestesisti, necessari a garantire l’apertura delle sale operatorie).

Come noto, c’è una profonda asimmettria tra possibilità di svolgere il lavoro medico in regime libero professionale tra privato (sia meramente autorizzato, come il mondo dell’assistenza integrativa, che accreditato) e pubblica amministrazione. Per il lavoro privato vige l’articolo 2 del dlgs 81/2015 (appartenente al cantiere del jobs act) che, in merito a collaborazioni organizzate dal committente, anche con riferimento ai tempi e luoghi di lavoro, esclude la norma di scivolo verso il lavoro subordinato per attività prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali. È pertanto ipotizzabile un uso opportunistico di contratti libero professionali nel privato.

Per il lavoro pubblico, invece, vige il più volte riformulato art 7 del dlgs 161/2001 e smi, che lo limita a fattispecie speciali, collegate a specifici progetti, con esclusione dell’utilizzo per attività istituzionali. Con la legge di bilancio 2019 le partite iva hanno avuto un innalzamento delle soglie minime del regime forfettario fino a 65.000 euro ed una aliquota piatta al 15%. Trattasi della cd Flax tax, che, sino alla soglia individuata, riduce per un medico con rapporto libero professionale le imposte di quasi due terzi rispetto ad un medico dipendente. È evidente che, in una situazione di carenza di risorse e di possibilità di scelta per il professionista, la flax tax, ove possano ricorrere le ipotesi di prestazioni libero professionali, è in grado di orientare la domanda di lavoro a tutto discapito del lavoro pubblico e lo sarà ancora di più con l’innalzamento delle soglie del regime forfettario assoggettate ad aliquota ridotta.

Dal punto di vista procedurale, circa la gestione dei concorsi appare, altresì, inopportuna, per un mondo pubblico che vede continue emorragie verso il privato e soffre di carenze strutturali, con uscite superiori alle entrate, la norma inserita dalla legge 145/2018, secondo la quale  le graduatorie di concorso possono essere utilizzate esclusivamente per i posti messi a concorso, con esclusione, quindi, della possibilità di un elenco di idonei ai quali attingere in caso di necessità, seppure con slittamento al 1 gennaio 2020, per i concorsi per profili sanitari nel Ssn (medici, infermieri, personale tecnico sanitario; per gli altri profili, pur necessari al Ssn, la norma è già operativadal 2019) in considerazione dei tempi necessari per l’espletamento delle procedure concorsuali e dei costi delle stesse. Molto opportuna, invece, la possibilità, introdotta dalla legge di bilancio 2019, che gli specializzandi dell’ultimo anno partecipino alle procedure concorsuali con graduatoria separata.

Vediamo ora i problemi legati alle cessazioni
Con l’applicazione del regime agevolato della cd quota 100 si prevede una fuoriuscita di professionisti medici e, soprattutto, infermieristici, che metterà in crisi il sistema se non sarà in grado, in tempi brevi, di organizzare la grande macchina dei concorsi per rimpiazzare, sempre che vi siano candidati sufficienti, gli uscenti. Ma si stanno tenendo sotto controllo i numeri degli uscenti e di chi dovrebbe subentrare, per armonizzare programmazione nazionale dei fabbisogni formativi e programmazioni regionali dei concorsi?

La situazione è ancora più critica sul versante universitario. Infatti, le fuoriuscite non previste dei docenti universitari rischiano di paralizzare al funzionalità delle scuole di specializzazione tenute a garantire una serie di requisiti, alcuni dei quali basati sulla presenza in servizio di almeno due docenti di fascia, con gravi ripercussioni sul versante formativo. Il Miur ha opportunamente prorogato di un anno il termine per dare modo alle scuole di adeguarsi  al raggiungimento dei requisiti di docenza nell’anno accademico  2018/2019 di riferimento delle scuole di specializzazione, a condizione che gli Atenei presso i quali le scuole di specializzazione sono istituite dimostrino, alla data di chiusura delle procedure di accreditamento relative al 2018/2019, di avere adottato le deliberazioni per l’avvio delle procedure di reclutamento necessarie al raggiungimento dei requisiti di docenza nell’anno accademico  2018/2019 di riferimento delle scuole di specializzazione.

Inammissibile sarebbe poi l’applicazione del principio contenuto nel disegno di legge, recante deleghe al Governo per il miglioramento della pubblica amministrazione redatto dal Ministro della Pubblica istruzione, che esclude il rilascio del nulla osta da parte dell’amministrazione di appartenenza per la mobilità. Nel premettere che la previsione circa la mancata autorizzazione non è giuridicamente compatibile con la struttura trilaterale civilistica dell’istituto della cessione del contratto, la misura ipotizzata comporterebbe che rimarrebbero sprovviste di personale sanitario le sedi disagiate, gli ospedali di provincia, i presidi sanitari più critici. Chi garantirà più il diritto alla salute in quelle zone?

I nostri medici migliori, dopo anni di costosa formazione nel pubblico, vengono chiamati dal privato, libero di offrire retribuzioni correlate alle capacità professionali e ai volumi produttivi. Una ricerca promossa da Fiaso nel 2018 ha quantificato nel 35% dei casi le ipotesi di abbandono del lavoro pubblico per prepensionamenti e opzione per il privato e ciò prima che fosse creata la flax tax, che sicuramente aggraverà il sistema. E già nel 2018 un neo specialista  su 4 optava per il privato. E per la prima volta nella storia del Paese stanno andando deserti i concorsi da ricercatore presso le Università per alcune discipline mediche.

Vediamo infine i motivi di disaffezione nelle strutture pubbliche.

Stasi del rinnovo del CCNL dei medici, fermo da 10 anni, che, comunque, presumibilmente, immetterà poca linfa vitale nel circuito ed è ipotizzabile ripercorrerà le consuete logiche di scarsa consistenza di sistemi premiali e incentivanti per carenza dei fondi di risultato. Le retribuzioni finiscono per essere tutte uguali, anche quelle di chi è più esposto allo stress lavoro correlato, per di più con minori possibilità di carriera, vista la necessaria contrazione delle strutture a far data dalle indicazioni del Comitato Lea del 2012, cui non è ancora seguita una sufficiente valorizzazione degli incarichi gestionali correlati ai processi, ormai necessari per uscire da una gestione collegata a silos (le strutture)

Non sono stati ancora emanati i decreti attuativi in materia assicurativa della legge 24 del 2017 sulla responsabilità professionale sanitaria e, soprattutto, manca il decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della giustizia, per una specifica tabella unica su tutto il territorio della Repubblica per il danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità, in attuazione di quanto disposto dalla legge c.d. concorrenza (L.4 agosto 2017 n 124). Con molta probabilità, l’emanazione di tali decreti consentirebbe un rientro sul mercato delle compagnie assicurative e, dunque, una maggiore tutela degli operatori sanitari, restringendo l’area del pericolo di rivalsa nel caso di condanne risarcitorie

Infine, darebbe un segnale di grande tutela del bene più prezioso del SSn l’introduzione della procedibilità d’ufficio per le aggressioni ai nostri professionisti

Conseguenze sul rapporto di lavoro dipendente potrebbero derivare anche dalla stessa Flax tax, che potrebbe indurre alla rinuncia all’attività svolta in esclusività di rapporto, essendo più conveniente optare per il regime extramoenia, compatibile con la flax tax entro la soglia individuata. Ciò comporterebbe il venir meno del vincolo di necessario equilibrio tra attività svolta in istituzionale e attività svolta in regime libero-professionale. Il tutto in una cornice normativa che consente anche a chi è in extramoenia la titolarità di una struttura.

A fronte di queste criticità, Lombardia, Veneto ed Emilia  Romagna chiedono maggiore autonomia sul versante formativo e di acquisizione/gestione delle risorse umane. Trattasi di un evidente tentativo di risolvere in casa problemi reali.

Gli ambiti di maggiore autonomia richiesti, comuni alle tre regioni, riguardano la  rimozione degli specifici vincoli di spesa in materia di personale, l’accesso alle scuole di specializzazione, la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato di “specializzazione lavoro” per i medici, la stipula di  accordi con le Università per l’integrazione operativa dei medici specializzandi con il sistema aziendale, e, per il Veneto, la maggiore autonomia in materia di gestione del personale, compresa l’attività libero professionale e la possibilità di prevedere, in sede di contrattazione integrativa, misure di incentivo e di sostegno, anche avvalendosi di misure aggiuntive regionali.
È evidente che trattasi di problematiche vitali e comuni a tutta Italia

Dunque, occorre ripensare le varie misure in ottica sinergica, valutando gli impatti delle singole manovre sul mondo sanitario, già fortemente in difficoltà per una pluriennale carenza di programmazione dei nuovi ingressi ed una risalente  scarsa valorizzazione delle risorse umane, che sconta un impianto contrattuale garantista ma non sufficientemente premiante.

Nella generalità dei casi abbiamo lo stesso vecchio modello organizzativo che necessità di un elevato numero di medici, in un quadro di carenze che difficilmente riusciremo a colmare in breve tempo. Senza una riforma radicale dei modelli di presa in carico e misure straordinarie di intervento sul versante delle risorse umane, il nostro SSn rischia di collassare. Occorre dunque ripartire proprio dai nostri professionisti per ripensare il sistema. E occorre farlo subito.

Tiziana Frittelli

Ultimo aggiornamento

25 Marzo 2019, 14:23

Commenti

Nessun commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Salvataggio di un cookie con i miei dati (nome, email, sito web) per il prossimo commento

Powered by Cooperativa EDP La Traccia