Non solo medicina – IL SOPRAVVISSUTO L’abbraccio di Sami Modiano agli studenti di Latina: “Voi siete la speranza” – 300 ragazzi muti davanti al racconto di uno degli ultimi superstiti della Shoah (da Radio Luna del 9 gennaio 2019)
Data:
14 Gennaio 2019
LATINA – “Sami tieni duro, tu ce la devi fare!”. Le parole di papà Giacobbe, morto nelle camere a gas del campo di sterminio di Birkenau, risuonano nella testa, dopo l’incontro con suo figlio Sami Modiano, sopravvissuto alla Shoah, e uno dei pochi superstiti ancora in vita. Al liceo scientifico Grassi, dove il Comune di Latina ha organizzato l’incontro, ha parlato per oltre tre ore davanti ad una platea di 300 studenti muti. Molti di loro piangevano silenziosamente mentre, alle soglie dei 90 anni e con un fazzoletto stretto fra le mani, lui raccontava la vita nel campo di concentramento polacco dove è entrato muscoloso e pieno di vita il 16 agosto del ’44 ed è uscito agonizzante alla fine di gennaio del ’45. Aveva addosso il pigiama a righe un paio di zoccoli di legno, il termometro segnava -25°C. Gettato su un mucchio di cadaveri ghiacciati dal gelo, con un corpo arrivato a pesare 25 chili, Sami indica il Cielo per spiegare come ce l’ha fatta, e piange raccontando l’abbraccio della soldatessa russa che lo ha curato: “Ho scoperto poi che era una dottoressa”. Il racconto è lungo e dettagliato, ogni parola è un quadro straziante che lui rivede e rivive: “Non si può dimenticare”, dice. Passano davanti agli occhi l’ultimo incontro con la sorella Lucia, rivista al di là del filo spinato nel campo delle donne e quell’ultima fetta di pane; l’addio con il padre: “Sami tieni duro, tu ce la devi fare”, parole che oggi danno senso a tutto il dolore.
SONO L’UOMO PIU’ FELICE DEL MONDO – Sami ce l’ha fatta. Così come chiedeva suo padre, è vivo. Lo ha voluto Dio: “Ogni volta che mi presentavo davanti a Lui, davanti a Dio, mi diceva di no – racconta con la voce che diventa un filo – Mi sono sentito in colpa tutta la vita, in colpa di essere sopravvissuto, ma non sono un privilegiato. Ero un ragazzo come voi e mi hanno tolto tutto – dice Modiano rivolto agli studenti del Grassi, dell’Alighieri, del Manzoni, agli studenti delle medie che affronteranno fra qualche giorno il viaggio della Memoria e visiteranno i campi di sterminio poco distanti da Cracovia – Dal 2005 però sono l’uomo più felice del mondo e ho trovato la risposta a tutti gli interrogativi che mi hanno tormentato per anni e anni. La risposta siete voi. Voi siete la speranza, siete quelli che quando io non ci sarò più, faranno in modo che non succeda di nuovo”.
Sami Modiano aveva 13 anni e mezzo quando è stato deportato a Bikenau; 14 quando è uscito da Aushwitz. Sono i luoghi della Memoria in cui torna ogni anno per guidare gruppi di persone, raccontando la sua storia che è anche quella di milioni di ebrei colpevoli solo di essere nati. Con lui furono deportati 2220 membri della comunità ebraica di Rodi in Grecia, 500 anni di storia e convivenza religiosa cancellati dalla follia nazista: “Ma io parlo anche degli omosessuali, dei disabili, dei rom, 11 milioni di persone uccise”.
La fine dell’incontro è solo un abbraccio, prima un gesto ripetuto tante volte dal palco, circondato solo da occhi rossi di pianto, anche quelli del sindaco Damiano Coletta, dell’assessore alla Scuola, Gianmarco Proietti, della dirigente scolastica Gianna Bellardini.
Poi arriva l’abbraccio vero, quando sceso in platea invita gli studenti ad avvicinarsi, a fare domande, e lancia l’ultima raccomandazione: “Ragazzi studiate, approfittate dei vostri genitori che vi seguono, di chi si occupa di voi. Io non ho potuto farlo”. Sì, perché anche se Samuel Modiano era un bravo studente, faceva solo la terza elementare quando è stato espulso da scuola a causa delle leggi razziali. «Un giorno – ha cominciato il suo racconto – mi ero svegliato bambino e andai a letto ebreo, espulso da scuola e con il volto rigato dalle lacrime». Sopravvissuto al campo di sterminio, ma senza familiari superstiti, dopo Birkenau ha dovuto pensare a procurarsi da vivere. Nella vita però ha imparato molte lingue, tra cui lo Swahili in Africa dove ha vissuto. Ha anche scritto un libro: Per questo ho vissuto. La mia vita ad Auschwitz-Birkenau e altri esili i cui diritti sono devoluti al Museo della Shoah di Roma.
Il messaggio che lascia è in queste parole: “Vi auguro felicità e che i vostri occhi, e quelli dei vostri figli, non vedano mai quello che ho visto io. Vi auguro un futuro di pace, armonia, fratellanza. Perché siamo tutti esseri umani e dobbiamo volerci bene”.
Ultimo aggiornamento
14 Gennaio 2019, 19:21
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