Le pubblicazioni scientifiche ‘spazzatura’ che non aiutano l’Evidence based medicine. Intervista a Tom Jefferson (da quotidianosanita.it del 21 marzo 2019)

Data:
22 Marzo 2019

Per ogni pagina di una pubblicazione scientifica su un trial clinico, possono esserci fino a 8.000 pagine di dati regolatori difficilmente accessibili. “Se non si prendono provvedimenti, rischiamo di essere costretti a dover ignorare le pubblicazioni, in quanto non siamo più in grado di riconoscere eventuali distorsioni o bias”. È quanto ci ha detto in questa intervista Tom Jefferson, del Centre for Evidence Based Medicine dell’Università di Oxford

21 MAR – “Il Filosofo della Scienza Thomas Kuhn avrebbe probabilmente definito un ‘paradigma’ la nostra fiducia nell’evidenza scientifica prodotta dai trial clinici pubblicati sulle riviste biomediche. Ci è stato utile, finora, per lo sviluppo dell’assistenza sanitaria e dei sistemi di cura basati su tale evidenza. Come tutti i paradigmi, però, ha cominciato a dare segni di cedimento. La nostra fiducia negli articoli scientifici richiede una ridefinizione, se non un cambiamento di rotta. Negli ultimi 10 anni, infatti, è stata prodotta sufficiente letteratura, nei più svariati ambiti biomedici, che mette seriamente in discussione l’affidabilità delle pubblicazioni scientifiche”.

Inizia così l’editoriale di Tom Jefferson, del Centre for Evidence Based Medicine dell’Università di Oxford, pubblicato nel 2018 su BMJ Evidence-Based Medicine, dal titolo “Redefining the ‘E’ in Ebm“, nel quale l’autore mette a fuoco la ‘malattia’ che sta lentamente erodendo tutto il processo di produzione di evidenza scientifica come lo conosciamo oggi: i trial clinici, i finanziamenti che li rendono possibili, la loro approvazione da parte delle autorità regolatorie che porta all’immissione o al mantenimento dei farmaci sul mercato, fino alle pubblicazioni scientifiche che ne parlano (quasi sempre bene).

Un ingranaggio complesso che in tutti i suoi passaggi deve reggere alle più svariate pressioni derivanti dalla necessità da parte delle case farmaceutiche di monetizzare gli investimenti. Il fine ultimo, non bisogna mai dimenticarlo, è quello di far approvare e vendere i farmaci. “La logica commerciale – aggiunge Jefferson -, che dovrebbe essere una parte sana del processo, ha preso il sopravvento sull’obiettivo primario della ricerca, che è quello di sviluppare farmaci utili, che siano efficaci rispetto al placebo e che abbiano meno effetti collaterali possibili”.

“La malattia da cui sono affette le pubblicazioni scientifiche non è incurabile – prosegue Jefferson -, ma necessita di un approccio diverso e consapevole da parte di tutti per evitare che vengano riportate distorsioni e bias”.

Il primo problema è di natura meramente quantitativa: “Per ogni pagina di una pubblicazione scientifica su un trial clinico, possono esserci fino a 8.000 pagine di dati regolatori – spiega Jefferson -. È quello che chiamiamo il fattore di ‘compressione'”.

I dati regolatori sono costituiti da tutto l’insieme di studi e trial clinici che un’azienda farmaceutica ha prodotto, ad esempio nel processo di composizione di un nuovo farmaco. Questi dati vengono consegnati dalle aziende all’agenzia regolatoria e non possono essere parziali (tranne i processi di produzione, che rimangono confidenziali). Devono includere quindi anche quei risultati che non vanno nella direzione ‘sperata’ dai ricercatori. Basandosi su questa mole spesso enorme di dati, prima dell’approvazione, l’agenzia ha il compito di accertare che vengano rispettati i requisiti di efficacia (il farmaco ha un effetto significativamente superiore al placebo) di sicurezza (il grado di tossicità in termini di effetti collaterali) e di stabilire l’indicazione terapeutica del farmaco, o del vccino, o del device impiantabile.

Il secondo problema è il “bias”. “Anche la più fedele ricostruzione dell’evidenza contenuta nei dati regolatori non sarebbe mai in grado di sintetizzare tutto in dieci pagine di articolo senza una selezione radicale di dati e informazioni. Non conoscendo il criterio di selezione dei dati – aggiunge -, questi saranno inevitabilmente affetti da distorsioni, che non riguardano solo i singoli trial clinici ma anche le revisioni sistematiche”.

“La letteratura che mette in luce queste distorsioni è sempre più ampia – afferma Jefferson -. Si tratta soprattutto di studi che mettono a confronto gli articoli scientifici con diverse tipologie di dati regolatori che fino a qualche anno fa erano inaccessibili. Di recente, sotto la pressione dell’opinione pubblica, le agenzie regolatorie e le industrie farmaceutiche stanno facendo emergere sempre più rapporti sugli studi clinici”.

Tra queste c’è anche la Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, che a gennaio 2018 aveva annunciato di voler aumentare la trasparenza dei trial clinici che portano all’autorizzazione di nuovi farmaci. Alle parole, però, non sono seguiti i fatti. In un anno, l’Agenzia ha reso pubblici i rapporti sugli studi clinici di un solo farmaco.

“A tal proposito, insieme al gruppo informale di scienziati, ricercatori e avvocati di cui faccio parte, abbiamo scritto una lettera aperta all’Fda, chiedendo di dar seguito alle promesse – sottolinea Jefferson -, ma ad oggi non abbiamo ricevuto risposta”.

A mettere in moto questo cambiamento è stata l’insistenza del Nordic Cochrane Centre di Peter Gøtzsche, che con il supporto della European Union Ombudsmanha portato anche l’Ema a cambiare le proprie politiche in merito.

“L’Ema si sta sforzando di accettare e fare proprio il rapporto di aspra critica dell’Ombudsman del 2010”, il Mediatore europeo figura di garanzia a tutela del cittadino che ha il compito di promuovere una buona amministrazione da parte delle istituzioni nell’Ue. “L’Agenzia ha accettato la critica e ha cominciato a fare dei cambiamenti reali, che però soffrono il fatto che a fronte di tante richieste c’è uno staff limitato per via del trasloco in corso in queste settimane da Londra ad Amsterdam“. Sforzo peraltro riconosciuto di recente dalla stessa Ombudsman

Alla luce di questi fatti, quale deve essere il nostro approccio alla Evidence based medicine? “Se non si prendono provvedimenti, e in fretta – spiega Jefferson -, rischiamo di essere costretti a dover ignorare l’evidenza riportata negli articoli scientifici, in quanto non siamo più in grado di riconoscere eventuali distorsioni o bias. Questo sancirebbe la morte della ricerca e quindi del progresso scientifico”.

“Intanto – aggiunge – si può cominciare a smettere di produrre revisioni sistematiche basate unicamente su articoli e cominciare a utilizzare i dati regolatori che consentono di raggiungere risultati alternativi e più precisi. Ma bisogna fare attenzione: i dossier regolatori non sono la panacea, perché sono anch’essi documenti commerciali. Però contengono un’enorme quantità di informazioni in più rispetto ai trial pubblicati e, cosa ancora più importante, contengono informazioni sui trial che non vengono pubblicati”.

Il 9 marzo si è tenuto a Copenhagen il Simposio organizzato da Peter Gøtzsche, co-fondatore della Cochrane, durante il quale è stato presentato il nuovo Institute for Scientific Freedom, che arriva a seguito della recente espulsione di Gøtzsche dalla Cochrane (ottobre 2018) per supposte violazioni del codice interno dell’organizzazione, che molti considerano invece una vera e propria epurazione.

La ‘cacciata’ è avvenuta all’indomani della pubblicazione sulla rivista Bmj Evidence-Based Medicine di un articolo di Gøtzsche – firmato insieme a Lars Jørgensen e Tom Jefferson – che criticava i risultati di una revisione sistematica della stessa Cochrane sull’efficacia del vaccino contro il papilloma virus. Il titolo parla da solo: “The Cochrane HPV vaccine review was incomplete and ignored important evidence of bias“.

“Quello che intende fare il nuovo istituto – spiega Jefferson – è combattere contro questo declino della scienza, cercando alleanze con altri gruppi informali, come ad esempio il Gruppo dei bollettini indipendenti sui farmaci (ISDB), un’organizzazione molto forte in Sudamerica, che ogni anno pubblica la lista dei dieci farmaci peggiori”.

“Non è una nuova Cochrane – ci tiene a specificare Jefferson -. Io intendo continuare a dare il mio contributo nel ridefinire la ‘E’ di Ebm. Non è più accettabile avere lavori di revisione, quindi sintesi di prove e di ricerca, che si basano solo sulle pubblicazioni. Sto parlando di farmaci, biologici, vaccini e device impiantabili. Tutte categorie influenzate da interessi economici. Per me questo è prioritario”.

In questo processo è vitale anche la funzione dei giornalisti: “La corretta informazione è essenziale, ma i media sono anche un bersaglio debole, perché non hanno accesso ai dati regolatori. Più mirabolanti sono le notizie, più è probabile che si tratti di ‘truffe’. La scienza vera non viaggia in questa maniera. Bisogna mantenere sempre alta la guardia quando si riportano notizie pubblicate dalle riviste scientifiche”.

“Vorrei far passare un messaggio nuovo – conclude Jefferson -. Si pubblicano circa 25mila revisioni sistematiche l’anno, di cui la maggior parte si può definire ‘spazzatura’. Sono diventate una vera e propria industria. Dobbiamo invertire la rotta e produrre al massimo otto, nove revisioni sistematiche l’anno, basate sui dati regolatori”.

Paola Porciello

Per maggiori informazioni su Tom Jefferson clicca qui

Ultimo aggiornamento

22 Marzo 2019, 17:58

Commenti

Nessun commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Salvataggio di un cookie con i miei dati (nome, email, sito web) per il prossimo commento

Powered by Cooperativa EDP La Traccia