La medicina inter-personale prenderà il posto della medicina basata sulle evidenze? (da quotidianosanita.it del 22 novembre 2018)
Data:
22 Novembre 2018
L’Evidence Based Medicine (EBM) ha rappresentato un passo da gigante rispetto al precedente modo di fare medicina, quello basato sulle intuizioni derivanti dall’esperienza. Ma da tempo, medici, scienziati e filosofi della scienza, ne stanno mettendo in luce i limiti e le problematiche. La medicina evolve insomma e con essa anche il metodo. E’ ora di voltare pagina?
Una soluzione – secondo Stacey Chang e Thomas Lee che pubblicano oggi sul New England Journal of Medicine le loro riflessioni al riguardo – potrebbe venire da un modello di assistenza sanitaria in grado di adattarsi al singolo individuo; una rivoluzione copernicana post-era EBM, che a suo tempo, ha spostato il ‘centro di gravità’ dal rapporto medico-paziente a quello medico-ricerca.
Quello di cui c’è bisogno insomma, secondo gli autori è di una ‘medicina inter-personale’ in grado di recuperare quello che con l’EBM si era perso. E questo non per essere ‘gentili’ o ‘umani’ col paziente (che non è mai un esercizio sbagliato, intendiamoci), ma con l’obiettivo di fare una medicina ‘efficace’, che arrivi a target, tenendo conto delle preferenze e delle capacità del paziente. Qualcosa da incorporare – proseguono gli autori – nella pratica medica, con lo stesso rigore dell’EBM.
La medicina inter-personale richiede uno sforzo di comunicazione ‘longitudinale’ e multidirezionale, tiene conto dei fattori sociali e comportamentali, richiede un lavoro di squadra e una valutazione costante della validità di questi approcci. Nulla è lasciato al caso. Per operare il cambiamento nei pazienti, il medico dovrà acquisire nuove capacità e avvalersi di strumenti codificati.
Gli autori invitano tuttavia a non vedere la medicina inter-personale come un superamento dell’EBM, ma come una sua evoluzione, un suo completamento. Come tutti i cambiamenti anche questa ‘proposta’ incontrerà sacche di resistenza. D’altronde, anche l’introduzione dell’EBM ha suscitato proteste di ogni tipo; ma oggi nessuna società scientifica la percepisce più come una minaccia all’autonomia del medico e anzi utilizza lo strumento delle linee guida anche per sollevare da possibili contestazioni (o addirittura da controversie legali) i suoi membri.
Ma i tempi sono maturi – proseguono gli autori – per un altro cambiamento. Anche perché, insieme ai tempi sono cambiate anche le malattie (la terribile triade dei nostri tempi è rappresentata da diabete, obesità e malattie cardiovascolari) e le cause di morti evitabili (come quelle per suicidio, alcol e droghe); tutte patologie queste con una forte componente sociale e comportamentale, che va tenuta presente e considerata in un progetto di trattamento. La visita ambulatoriale annuale e la ricetta sono armi spuntate per queste patologie. La ‘ricetta’ vincente in questo caso – affermano gli autori – deve comprendere anche interazioni (non necessariamente medico-paziente, ma anche tra il paziente e la sua famiglia o la comunità o tra paziente e paziente) all’insegna delle seguenti parole chiave: motivazione, impegno, empowerment, convinzione, elasticità.
I tempi d’altra parte sono maturi anche per un radicale cambiamento nell’assistenza sanitaria, destinata a passare dai rimborsi a prestazione, a modelli value-based che danno la priorità all’efficacia, più che alla produttività. E questo tipo di efficacia non può essere ottenuta facendo lavorare di più o più rapidamente i singoli medici. Sono necessari interventi più significativi e la costruzione di relazioni tra medici e pazienti. Ma per costruire queste relazioni non basta a buona volontà; per guadagnare la fiducia del paziente servono empatia, coordinazione e comunicazione. Una metanalisi di Zolnierek del 2009 ha rilevato che se il medico comunica bene, la compliance del paziente alla terapia aumenta del 19%.
Il medico esperto in medicina inter-personale dovrà acquisire nuove competenze che lo facciano percepire dai propri pazienti come un compagno di viaggio e una guida esperta.
Come sviluppare dunque una valida medicina inter-personale? Prima di tutto insegnandola – affermano gli autori – senza fare l’errore di presumere che i medici abbiano già gli strumenti giusti. Sarà necessario al contrario costruire nuovi curriculum pratici e innovativi e utilizzare nuovi strumenti. La Cleveland Clinic e il Texas Children’s Hospital ad esempio richiedono ad ogni medici di effettuare un training formale in skill di comunicazione. Sarà poi necessario andare a misurare processi ed esiti (dal punto di vista dei pazienti, delle famiglie e dei medici) e questo significa mettersi d’accordo sul ‘metro’ da utilizzare o su eventuali surrogati.
Il passo successivo è consentire la medicina interpersonale e questo richiederà la messa a punto di protocolli, standard di servizio, best practice e strumenti volti ad incoraggiare un dialogo produttivo.
L’ultimo passo consisterà nel creare degli incentivi sia finanziari che non finanziari per la medicina interpersonale. In ottica di assoluta trasparenza e chiedendo pazienti e caregiver di contribuire a queste valutazioni.
Maria Rita Montebelli
Ultimo aggiornamento
22 Novembre 2018, 21:46
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