La Grecia è vicina (da quotidianosanita.it del 16 ottobre 2018)
Data:
17 Ottobre 2018
Non faremo la fine della Grecia. Questo si legge sui media in riferimento alle condizioni economiche del nostro Paese e alle prospettive di soluzione della crisi. Interessante è comunque valutare cosa sia successo in Grecia con l’arrivo della Troika ed in particolare portare l’attenzione sui tagli in campo sanitario imposti per ridurre il deficit di bilancio dello Stato
A morire sono stati soprattutto gli anziani, con un incremento del 12,4% nella fascia di età 80-84 anni e del 24,3% negli over 85. Secondo gli studiosi la ragione è da ricercare nelle difficoltà di accesso alle cure per i malati cronici, legata alle drastiche misure restrittive assunte nelle politiche sanitarie (spesa sanitaria, portata al di sotto del 6% di un Pil in caduta libera), all’elevazione dei livelli di co-payment (ticket sui farmaci, sulle prestazioni diagnostiche e sui ricoveri) e all’incremento netto di pazienti non assicurati per l’impoverimento di ampie fasce di popolazione.
La Grecia è così lontana da noi?
I dati Istat sulla mortalità generale in Italia nel 2017 mostrano una importante crescita dei decessi rispetto al 2016, esattamente 649 mila, il valore più alto dal 1945, contro 615 mila. Valutando la serie storica solo nel 1929 e nel periodo 1940-1945 si è avuto una mortalità più elevata. Si tratta, rispetto al 2016, di 34 mila decessi solo parzialmente giustificati dal cambiamento della struttura demografica secondario al progressivo invecchiamento. Secondo il demografo Blangiardo almeno 13 mila morti non trovano giustificazione nella evoluzione demografica e pertanto tutti siamo chiamati ad andare più a fondo e ad interrogarci sulle possibili cause.
Quella osservata in Grecia rappresenta una dinamica che non ci può lasciare indifferenti perché il nostro SSN, soprattutto al centro-sud, sta sperimentando da alcuni anni sulla propria pelle, con le politiche dei piani di rientro, l’effetto di quel tipo di tagli, anche se con una intensità minore. L’incremento di mortalità percentualmente maggiore rispetto all’anno precedente si osserva proprio nel sud (+ 6,8%) e nelle isole (+ 7,6%) mentre nella provincia autonoma di Trento si osserva il tasso di mortalità standardizzato più basso (7,2 per mille abitanti).
La Campania è al 10 per mille, la Sicilia al 9,5 e la Calabria all’ 8,9. Da Roma in giù, con l’eccezione della Basilicata, le amministrazioni regionali, seguendo le imposizioni del Mef, nel recente passato hanno messo in campo riduzioni importanti e lineari della spesa sanitaria. I cittadini tutt’ora rinunciano alle cure per problemi economici e accedono con crescenti difficoltà ai servizi sanitari. Il fenomeno della migrazione sanitaria è in espansione ed ogni anno produce lo spostamento di circa 4 miliardi di euro dal sud verso il nord.
Quando alla caduta importante delle capacità economiche dei cittadini si affianca un attacco al sistema di welfare e al sistema sanitario in particolare, lo scenario che si apre rischia di avvitarsi verso il drammaperché viene a mancare quel ruolo di collante e di “ammortizzatore” sociale che da sempre svolge il Ssn. I tagli economici subiti finora dal sistema sanitario nel periodo 2010-2016 ammontano ad almeno 30 miliardi di euro, come certificato dalla Corte dei conti.
I tagli sono proseguiti nel biennio 2017/2018 e la nota di aggiornamento del Def 2019 non fa intravedere un deciso cambiamento di passo. Il rapporto OCSE 2017 ci dice che la spesa sanitaria pro capite in Italia nel periodo 2009/2016, in termini reali, ha avuto una decrescita dello 0,3% ogni anno. In rapporto ad altri Paesi europei, abbiamo tagliato molto di più, più dell’Inghilterra 20 miliardi di sterline entro il 2016, più della Grecia 25 miliardi di euro entro il 2015, più di Irlanda, Francia, Portogallo. Il livello di co-payment è aumentato.
La progressiva riduzione dei posti letto ospedalieri verso l’obiettivo del 3,7 per mille abitanti ha portato al taglio di circa 25.000 posti letto nel periodo 2009-2015. L’Italia già oggi ha un tasso di posti letto per acuti più basso della media Oecd (3,2 contro 4,7 per mille) e molto lontano da quello dei paesi con cui oramai non possiamo più confrontarci: Germania 8,1‰, Francia 6,1‰, Svizzera 4,6‰, Austria 7,6‰. Anche la falcidia delle dotazioni organiche di medici e infermieri, certificata dal Conto annuale dello Stato 2016 confrontando con il 2009, potrebbe trasformarsi in una riduzione della qualità generale delle cure e in una ulteriore barriera di accesso fisico ai servizi sanitari, che si sommerebbe alle barriere economiche già analizzate.
La coartazione drammatica del perimetro dei diritti in campo sanitario e l’incremento del disagio sociale legato ai tassi di povertà potrebbero rappresentare un mix preoccupante, anche per la tenuta democratica del nostro Paese. I tagli dovuti all’austerità hanno, in sostanza, messo il sistema sanitario sotto pressione, aumentando le disuguaglianze tra le regioni e tra le classi sociali, minacciandone la sostenibilità futura in mancanza di investimenti nella tutela della salute e nella prevenzione delle malattie che garantiscano l’accesso universale di alta qualità ai servizi sanitari.
È essenzialmente per questi motivi che oramai da tempo andiamo sostenendo che i tagli lineari in campo sanitario non possono essere utilizzati per reperire risorse destinate a coprire il deficit di bilancioe che il sistema non appare in grado di sopportare ulteriori restrizioni ma che necessita di un quinquennio con incrementi reali e progressivi del FSN e non di incrementi annuali che nemmeno coprono il tasso di inflazione del settore sanitario, generalmente più alto di quello medio.
Ma è altrettanto chiaro che la sostenibilità del Ssn non può essere conseguita – e soprattutto mantenuta nel tempo – se continuano a sopravvivere sacche di inefficienze organizzative e gestionali, vicinanze improprie tra gestione del consenso politico e gestione del merito e della qualità professionale, allarmanti fenomeni corruttivi, esasperazioni “consumistiche” della domanda di salute.
Ed è proprio in questo contesto che occorre procedere a una virtuosa spending review “non lineare” sulle risorse e sull’etica del sistema, che svuoti sacche di inappropriatezze e inefficienze, fermo restando che le risorse così recuperate rimangano all’interno del sistema stesso, e siano destinate a finanziare processi di innovazione tecnologica, strutturale, organizzativa e professionale per mantenere i buoni outcome clinici che ancora le strutture ospedaliere riescono a garantire, come dimostrano i dati Oecd 2017, riducendo le disparità tra nord e sud e le barriere che ostacolano l’accesso ai servizi che rappresentano i veri elementi da modificare.
Infine, che la politica di assunzioni e di ricambio generazionale che il Governo ha chiesto alle aziende compartecipate dallo Stato incominci, e subito, dalla più grande azienda pubblica per numero di occupati e valore aggiunto che è il SSN, perno di una filiera della salute che produce 12 punti di PIL. Senza aumentare in maniera sostanziale il capitale umano, e restituire ai suoi professionisti la dignità delle condizioni in cui svolgere un lavoro a tutela della esigibilità di un diritto dei cittadini, il destino della più grande infrastruttura del Paese appare segnato. Proprio quando, ironia della sorte, si dichiara la fine delle politiche di austerità e dei tagli lineari con una manovra economica da 36 miliardi di euro.
Chiara Rivetti
Segretaria regionale Anaao Assomed Piemonte
Andrea Rossi
Componente della Direzione nazionale Anaao Assomed
Carlo Palermo
Segretario nazionale Anaao Assomed
Ultimo aggiornamento
17 Ottobre 2018, 08:30
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