Stati vegetativi

Data:
20 Aprile 2014

Uno studio pubblicato su Lancet suggerisce che agli attuali test al letto del paziente per discriminare tra stato vegetativo e stato minimamente cosciente, andrebbero affiancati dei test di imaging cerebrale funzionale. La PET vince sulla fRMN e consente di individuare meglio chi ha più chance di riprendere conoscenza.

La PET (Positron Emission Tomography) rappresenta, secondo uno studio appena pubblicato su Lancet, uno strumento promettente per distinguere, tra i pazienti in stato vegetativo per un grave danno cerebrale, quelli che hanno le potenzialità di riprendere conoscenza. E’ la prima volta in assoluto che una ricerca ha valutato l’accuratezza diagnostica di una tecnica di imaging funzionale cerebrale ‘sul campo’. “La PET – sostiene il Professor Steven Laureys dell’Università di Liegi, autore dello studio – è in grado di ‘fotografare’ i processi cognitivi, invisibili ai test attualmente a disposizione; si propone dunque come un esame complementare, ma molto importante, per individuare quei soggetti in stato vegetativo che hanno tuttavia le potenzialità per una ripresa a lungo termine”.

Giudicare il livello di coscienza in un paziente che abbia riportato un gravissimo danno cerebrale non è compito facile; esistono dei test condotti al letto del paziente che vengono utilizzati per stabilire la presenza di uno stato di coscienza minima (MCS) o quella di stato vegetativo, una condizione che riduce di molto le chance di ripresa. Ma i risultati di questi esami finiscono con il rivelarsi sbagliati fino al 40% dei casi. “Predire l’andamento di un paziente con un importante edema cerebrale – commentano Jamie Sleigh dell’Università di Auckland (Nuova Zelanda) e Catherine Warnaby dell’Università di Oxford – sulla base dei test clinici attuali, corrisponde in pratica a tirare in aria una moneta”.

Lo studio pubblicato su Lancet ha confrontato due tecniche di neuro-imaging funzionale, la PET con FGD (fluorodeossiglucosio) e la risonanza magnetica funzionale (fRMN) durante un esercizio di imagery, per distinguere tra presenza di stato vegetativo e MCS in 126 pazienti con gravi danni cerebrali, ricoverati presso l’università di Liegi e provenienti da tutta Europa. I ricercatori hanno quindi confrontato i risultati degli studi di imaging con quelli del test comportamentale Coma Recovery Scale – Revised (CRS-R), considerato lo strumento attualmente più affidabile e validato per individuare la presenza di MCS. Globalmente la PET è risultata superiore alla fRMN nel distinguere tra pazienti in stato cosciente e non (93% contro 45%); la FDG-PET inoltre presenta un grado di accuratezza del 74% nella capacità di prevedere il grado di ripresa entro un anno, contro il 56% della fRMN.

Da sottolineare inoltre come un terzo dei 36 pazienti diagnosticati come non responsivi al test CSR-R, alla FDG-PET abbiano presentato invece un’attività elettrica, suggestiva della presenza di un certo grado di coscienza; nove pazienti di questo gruppo nei mesi successivi allo studio hanno mostrato infatti la ripresa di un discreto stato di coscienza. “Questi risultati – commentaLaureys – dimostrano che una piccola ma significativa percentuale di pazienti non responsivi ai test comportamentali, mantengono un grado di attività cerebrale compatibile con un certo grado di consapevolezza. La ripetizione di questi test, complementata dalla FDG-PET rappresenta uno strumento diagnostico ad elevata sensibilità, in grado di discernere i pazienti non responsivi, ma coscienti. La fRMN con test psicologici potrebbe completare ulteriormente il quadro, dando informazioni circa le capacità cognitive residue, ma non dovrebbe essere utilizzato come unico metodo di imaging”.

E’ probabile – commentano Jamie Sleigh e Catherine Warnaby – che, alla luce di questi risultati, questi esami di imaging cerebrale funzionale diventeranno in futuro parte integrante dei test di valutazione di questi pazienti, sebbene al momento ancora abbastanza costosi. Di certo arriverà il giorno in cui, guardandoci indietro, ci stupiremo di come siamo andati avanti per tanti anni, senza utilizzarli”.

Maria Rita Montebelli

da quotidianosanita.it del 18 aprile 2014

Ultimo aggiornamento

27 Giugno 2014, 14:28

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