CORTE DEI CONTI/ Due anestesisti condannati a rifondere all’Asl il risarcimento – Malpractice è danno erariale –

Data:
17 Dicembre 2010

La Corte dei conti della Regione Sicilia con una particolare sentenza n. 2235/2010 del 28 ottobre 2010, che esamina le responsabilità erariali dell’èquipe chirurgica, ha condannato due anestesisti a rifondere all’Asl la somma da questa versata ai parenti di un paziente di soli tre anni deceduto in seguito a un comportamento sanitario scorretto durante un intervento d’urgenza. La Sezione Penale del Tribunale di Trapani aveva ritenuto i due anestesisti colpevoli del reato di omicidio colposo e aveva mandato assolti gli altri sanitari dell’équipe. Nel successivo giudizio per la determinazione dei danni, il tribunale civile ha condannato l’Asl in solido con i medici al risarcimento di oltre un milione di euro a favore della famiglia. L’Asl, dopo valutazione dell’accaduto con la propria avvocatura, decise di pagare il dovuto salvo poi rivalersi nei confronti dei due medici che avevano provocato il danno. Dalla lettura della sentenza, si deduce che nessuna delle parti aveva un’adeguata polizza assicurativa per la responsabilità civile. I medici, nel giudizio erariale, avevano sostenuto l’inconsistenza della colpa grave in quanto la situazione di emergenza e la situazione sanitaria molto grave giustificavano, a loro dire, una colpa lieve degli stessi. Il Collegio, invece, ha ritenuto che una situazione di emergenza non può valere a escludere l’esistenza della colpa grave; anzi, proprio l’urgenza impone il massimo della diligenza e dell’attenzione perché aumenta in maniera esponenziale il rischio di morte del paziente. La giurisprudenza più recente ha qualificato come contrattuale la responsabilità del medico che opera all’interno della struttura ospedaliera, ribaltando i precedenti orientamenti giurisprudenziali che ravvisavano in capo al medico soltanto una responsabilità extracontrattuale, per violazione dei doveri inerenti alla professione, ex art. 2236Cc, concorrente con quella contrattuale dell’Ente. La Suprema corte ha affermato che il medico-chirurgo, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti alla propria attività professionale, è tenuto a una diligenza che non è solo quella del «buon padre di famiglia», come richiesto dall’art. 1176, 1° comma, ma è quella specifica del debitore qualificato, ai sensi del 2° comma dell’art. 1176, la quale comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica. Nella diligenza è, quindi, compresa anche la “perizia”, da intendersi come conoscenza e attuazione delle regole tecniche proprie di una determinata arte o professione. Va, tuttavia, rilevato che per la Suprema corte la limitazione di responsabilità professionale del medico ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2236 Cc, attiene esclusivamente alla perizia, per la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, con esclusione dell’imprudenza e della negligenza. In altri termini, la limitazione della responsabilità del medico alle sole ipotesi di dolo o colpa grave si applica unicamente ai casi che trascendono la preparazione medica. Ciò premesso, il pubblico ministero ha osservato che, nel caso di specie, le condotte negligenti cui ascrivere gli esiti infausti dell’intervento devono essere circoscritte a quelle tenute dai sanitari. La necessità di autonoma valutazione sulla responsabilità del dipendente pubblico, sostiene la Corte, oltre a ricavarsi dalle norme sopra citate, è confermata da univoca giurisprudenza che ha osservato e statuito (Corte dei conti III Sez. centrale d’appello, sent. n. 601 del 10/11/2004) che il giudizio civile di risarcimento danni e quello di responsabilità amministrativa per danni derivanti dall’attività sanitaria si muovono su piani distinti, sia perché finalizzati a regolare rapporti giuridici diversi, sia perché diversi sono i parametri normativi di riferimento. Il Collegio ritiene, inoltre, sussistente nella fattispecie il danno erariale, in quanto la somma risarcita dall’Asl ai genitori del piccolo, ha determinato una deminutio patrimonii per l’Amministrazione, nonché il nesso di causalità tra il comportamento dei convenuti e il danno stesso. Nel caso in questione, in particolare, il collegio ha precisato che rientra tra i compiti principali dell’anestesista controllare continuamente la ventilazione e la ossigenazione del paziente e nella fattispecie il medico avrebbe dovuto, in presenza dei sintomi di una evidente ipossia, verificare l’efficienza e la funzionalità dell’unico strumento attraverso il quale il paziente poteva respirare, ossia la sonda. Concludendo, non ogni condotta diversa da quella doverosa implica colpa grave ma solo quella caratterizzata da particolare negligenza, imprudenza o imperizia e che sia posta in essere senza l’osservanza di un livello minimo di diligenza, prudenza o perizia; occorre precisare, inoltre, che tale livello minimo dipende dal tipo di attività concretamente richiesto all’agente e dalla sua particolare preparazione professionale.

Paola Ferrari

Ultimo aggiornamento

17 Dicembre 2010, 10:44

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