VACCINAZIONI: I test pre-vaccinali non hanno scientificamente senso, associazioni di cittadini tentano di portare la scienza in tribunale (da FIMMG Lazio News 24 del 25 agosto 2017)

Data:
25 Agosto 2017

(Wired.it) di Gianluca Dotti Qualche giorno fa il Codacons ha reso disponibile online un modulo costruito ad hoc per i genitori che desiderano provare a rinviare le vaccinazioni obbligatorie dei propri figli facendo appello alla necessità di svolgere i cosiddetti test prevaccinali prima di sottoporre i bambini alle iniezioni.
In un breve comunicato stampa pubblicato in contemporanea, il Codacons ha riaffermato il principio secondo cui “nessuno può essere vaccinato se prima non vengono compiuti gli esami medici necessari per escludere pericoli per la salute del bambino”, continuando la propria battaglia politica per chiedere “alle singole Asl e all’Agenzia Italiana del farmaco (l’Aifa) di prevedere ogni indagine prevaccinale e tutelare in ogni modo possibile i piccoli sottoposti alle vaccinazioni obbligatorie per legge”.

I dettagli dell’istanza del Codacons

Nella pratica, il documento (che può essere scaricato in formato pdf dopo aver fornito tutte le generalità del genitore) è concepito per essere inviato alla Asl territoriale competente e richiedere “di eseguire test anticorpali e verifiche allergologiche” prima del vaccino, ossia di posticipare la data della vaccinazione in attesa degli esiti di questi esami clinici.
Nell’istanza, infatti, si legge la richiesta “che venga fissata altra data presso il centro vaccinale al fine di poter adeguatamente sottoscrivere il modulo del consenso informato e permettere al centro vaccinale la somministrazione dei vaccini al proprio figlio”. Infine, sottoscrivendo il modello si comunica che “in assenza degli esiti di tali indagini, anche al fine di verificare le immunizzazioni già acquisite verso malattie rientranti nelle coperture obbligatorie non si procederà alla sottoscrizione del consenso informato […]”.

L’aspetto clinico

Ma quale fondamento scientifico hanno le affermazioni contenute nell’istanza e le richieste di eseguire indagini prevaccinali? A oggi, nessuna. Quando si parla di test da eseguire prima di una vaccinazione, di solito si fa riferimento a test allergologici, immunologici o genetici, ma nessuno di questi è in grado – allo stato attuale delle conoscenze scientifiche – di fornire risposte utili a medici e genitori.

Che senso ha fare un test per le allergie?

Riguardo agli esami allergologici, le informazioni ricavate da un’indagine non sono in grado di prevedere una possibile reazione di intolleranza a un preparato vaccinale, e nemmeno di escluderla. I rarissimi casi in cui si manifesta un’allergia, infatti, non sono individuabili tramite le prove allergologiche, e sostanzialmente sarebbe necessario somministrare al bambino un preparato identico al vaccino per sapere se si avrà o meno una reazione indesiderata. Altrimenti, si resta comunque nel campo delle speculazioni.
La proposta del Codacons di indicare nel modulo i precedenti familiari di malattie immunitarie e di allergie a farmaci, alimenti e altre sostanze ha solo l’effetto di far credere che l’intolleranza a qualcosa d’altro o un deficit immunitario in un parente possa essere indicativo di una possibile intolleranza ai vaccini o di una loro maggior pericolosità. Correlazioni che, tuttavia, sono prive di un qualsiasi riscontro scientifico, poiché la storia familiare o le altre intolleranze non permettono di prevedere il verificarsi di una reazione avversa, né l’assenza di queste condizioni consente di escludere che si verifichi uno degli (infrequenti) episodi indesiderati.

Cosa si spera di trovare analizzando gli anticorpi?

Un test immunologico, invece, è un esame in grado di determinare la presenza e la concentrazione degli anticorpi a disposizione nel sistema immunitario di un individuo. Si tratta di un esame clinico utile per stabilire se in una persona già vaccinata si è ottenuto il desiderato livello di copertura, oppure per verificare se a distanza di tempo permane ancora l’effetto di immunizzazione dato dal vaccino. Dato che gli anticorpi di una certa malattia possono essere presenti in un individuo o per effetto di una vaccinazione o per l’aver contratto la malattia, a volte il test immunologico può aver senso anche nel caso di un adulto che – a distanza di decenni – non è in grado di ricordare e stabilire se ha già superato una determinata malattia. O per il personale sanitario, per cui è bene verificare che ci sia un’adeguata copertura immunitaria.
Nel caso di un bambino di pochi mesi o anni di vita, invece, il test immunologico non può dare alcuna informazione aggiuntiva rispetto a ciò che si conosce a priori. La presenza degli anticorpi può essere dovuta o a una vaccinazione già eseguita (e allora non avrebbe senso compilare il modello del Codacons) oppure a una malattia già contratta dal bambino, di cui ovviamente i genitori hanno ancora memoria, dato il poco tempo trascorso. In tutti gli altri casi l’esito dell’esame immunologico sarebbe negativo, indicando la necessità di sottoporsi alla vaccinazione.

La scienza in tribunale

Qual è allora il senso dell’istanza suggerita ai genitori? Una volta esclusa la base scientifica, il documento sembra più che altro un tentativo di appellarsi a un vago diritto alla sicurezza vaccinale, pur di provare a procastinare o a sottrarsi all’obbligo di legge. E, in effetti, non è detto che sia un tentativo destinato al fallimento, dal momento che non sarebbe la prima volta che, in Italia, un tribunale emette sentenze contrarie al parere della comunità scientifica internazionale.
Anche immaginando che le questioni di sostenibilità economica dei test siano irrilevanti, esistono altre indagini cliniche prevaccinali in grado di garantire un certo grado di affidabilità? La risposta è comunque no.

Promesse e realtà per gli altri test clinici

A volte si auspica l’introduzione di test genetici che fanno capo alla cosiddetta adversomica, la disciplina che studia gli effetti avversi dei farmaci unendo le conoscenze della farmacologia con i risultati degli studi sul dna.
Tuttavia la disciplina dell’immuno-genetica applicata ai vaccini, che una decina di anni fa era considerata promettente, non ha dato nell’ultimo periodo risultati sperati, tanto che nemmeno in questo caso gli scienziati sono riusciti a trovare correlazioni tra le caratteristiche genetiche di un individuo e la manifestazione di reazioni avverse. Si tratta comunque di un interessante filone di ricerca con potenziali applicazioni nell’ambito della medicina personalizzata, e infatti già oggi sono stati verificati legami tra la genetica e la risposta immunitaria, l’interazione virus-cellule e i meccanismi di riconoscimento di una serie di malattie tra cui morbillo, influenza, parotite, rosolia, vaiolo ed epatite B.
Mancano ancora, però, risultati affidabili per le intolleranze ai vaccini, tanto che a oggi possiamo dire che eseguire un esame genetico prevaccinale su un bambino è del tutto inutile. Il motivo dell’assenza di questi risultati è da ricercare soprattutto nel piccolissimo numero di casi di studio, determinati anzitutto dall’estrema rarità degli effetti avversi registrati. A questo si aggiunge anche la complessità della risposta immunitaria individuale, che dipende sia dalla varietà genetica etnica sia dalle interazioni tra i geni: questa variabilità complica ulteriormente il lavoro degli scienziati alla ricerca di correlazioni e trend, rendendo difficile sottoporre i dati a una solida valutazione statistica.
Purtroppo nemmeno un’analisi delle urine o del sangue, un’analisi dei tessuti, una caratterizzazione metabolica o qualunque altro test clinico è in grado oggi di prevedere (o di escludere) la comparsa di un effetto avverso in un bambino sottoposto a vaccinazione. Sono invece tristemente frequenti i casi di persone che, alimentando false speranze nei genitori preoccupati per il proprio figlio, si fanno pagare profumatamente per eseguire test clinici non validati e pertanto dagli esiti non attendibili.

Le rare eccezioni

Tutto ciò vale per la quasi totalità dei bambini, ma non per tutti: l’eventuale scelta di non sottoporre un bambino a vaccinazione è attualmente affidata al pediatra, che ha il compito di verificare lo stato di salute del bambino e l’assenza di condizioni cliniche particolari che possano suggerire lo svolgimento di opportuni esami diagnostici o la sospensione delle vaccinazioni. Ma si tratta di casi estremamente rari e particolari, come per esempio per i bambini che si trovano in una condizione di grave deficit immunitario in seguito a una patologia o a un trattamento medico in corso. I bambini senza deficit immunitari ma fragili, invece, sono proprio quelli che – spiegano i pediatri – riceveranno i maggiori benefici dalla vaccinazione.

Ultimo aggiornamento

23 Settembre 2017, 13:42

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