Approvato il Piano nazionale anticorruzione 2016. Misure per Ordini e Collegi (da quotidianosanita.it del 5 agosto 2016)

Data:
6 Agosto 2016

IL TESTO COMPLETO DEL PIANO clicca qui: allegato6301378

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III – ORDINI E COLLEGI PROFESSIONALI
Premessa
Gli ordini e i collegi professionali sono tenuti a osservare la disciplina in materia di trasparenza e di prevenzione della corruzione nonché gli orientamenti del presente PNA, secondo quanto previsto dal d.lgs. 97/2016 ed, in particolare, dagli artt. 3, 4 e 41 che hanno modificato, rispettivamente gli artt. 2 e 3 del d.lgs. 33/2013 e, tra l’altro, l’art. 1 c. 2 della l. 190/2012.
Con particolare riguardo alla trasparenza, l’art. 2-bis del d.lgs. 33/2013 al comma 2 precisa che la medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni si applica anche agli ordini professionali, in quanto compatibile. Premessi i limiti di compatibilità indicati, non sussistono pertanto più dubbi che gli ordini professionali rientrino nel novero dei soggetti tenuti a conformarsi al d.lgs. 33/2013. A tale riguardo, peraltro, all’Autorità è stato attribuito il potere di precisare, in sede di PNA gli obblighi di pubblicazione e le relative modalità di attuazione in relazione alla natura dei soggetti, alla loro dimensione organizzativa e alle attività svolte, prevedendo in particolare modalità semplificate anche per gli organi e collegi professionali (co.1-ter, inserito all’art. 3, d.lgs. 33/13).
Analogamente, agli ordini e ai collegi professionali si applica la disciplina prevista dalle l. 190/2012 sulle misure di prevenzione della corruzione. In virtù delle modifiche alla l. 190/2012, si evince che il PNA costituisce atto di indirizzo per i soggetti di cui all’art. 2 bis del d.lgs. 33/13, ai fini dell’adozione dei PTPC o delle misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del d.lgs 8 giugno 2001, n. 231 (co. 2-bis, inserito all’art. 1 della l. 190/2012).
Alla luce di quanto premesso, al fine di orientare l’attività degli ordini e dei collegi professionali di livello centrale e territoriale, di seguito sono approfondite le seguenti questioni relative a profili di tipo organizzativo e di gestione del rischio:
 RPCT e adozione del PTPC e delle misure di prevenzione della corruzione;
 aree di rischio specifiche che caratterizzano gli ordini e collegi professionali;
 trasparenza di cui al d.lgs. 33/2013.
1. Responsabile della prevenzione della corruzione e adozione del PTPC e di misure di prevenzione della corruzione
1.1 Responsabile della Prevenzione della corruzione e della trasparenza La legislazione anticorruzione ha attribuito particolare rilevanza al ruolo del RPCT. Per quanto attiene alla specifica realtà degli ordini e collegi professionali, si ritiene che il RPCT debba essere individuato all’interno di ciascun Consiglio nazionale, ordine e collegio professionale (sia a livello centrale che a livello locale). Più in particolare, l’organo di indirizzo politico individua il RPCT, di norma, tra i dirigenti amministrativi in servizio. Occorre sottolineare, al riguardo, che Ordini e Collegi non necessariamente dispongono di personale con profilo dirigenziale. In tali casi, si pone pertanto, il problema dell’individuazione del soggetto al quale affidare il ruolo di RPCT.
Rinviando al § 5.2. della parte generale per le questioni di inquadramento complessivo, si evidenzia che nelle sole ipotesi in cui gli ordini e i collegi professionali siano privi di dirigenti, o questi siano in numero così limitato da dover essere assegnati esclusivamente allo svolgimento di compiti gestionali nelle aree a rischio corruttivo, circostanze che potrebbero verificarsi in strutture organizzative di ridotte dimensioni, il RPCT potrà essere individuato in un profilo non dirigenziale che garantisca comunque le idonee competenze.
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Solo in via residuale e con atto motivato, il RPCT potrà coincidere con un consigliere eletto dell’ente, purché privo di deleghe gestionali. In tal senso, dovranno essere escluse le figure di Presidente, Consigliere segretario o Consigliere tesoriere. In questi casi, è auspicabile, al fine di prevedere forme di responsabilità collegate al ruolo di RPCT, che i Consigli nazionali, gli ordini e collegi territoriali – nell’impossibilità di applicare le responsabilità previste dalla l. 190/2012 ai consiglieri – definiscano e declinino forme di responsabilità almeno disciplinari, ai fini delle conseguenze di cui alla predetta legge, con apposite integrazioni ai propri codici deontologici.
1.2 Predisposizione del PTPC e delle misure di prevenzione della corruzione
L’art. 41 del d.lgs. 97/2016, nell’introdurre l’art. 1, co. 2-bis, della l. 190/2012, sembrerebbe ricondurre gli ordini e i collegi professionali fra quei soggetti cui spetta l’adozione di misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (art. 1, co. 2-bis l. 190/2012). Tuttavia, tenuto conto dell’ambito soggettivo di applicazione del d.lgs. 231/2001 e considerato che non necessariamente il modello ivi previsto è applicabile da parte degli ordini e dei collegi professionali, di norma gli stessi adottano un PTPC. In via residuale, qualora gli enti decidano di adottare o abbiano già adottato un modello ai sensi del d.lgs. 231/2001, è necessario che le misure idonee a prevenire anche i fenomeni di corruzione e di illegalità all’interno dell’ente in coerenza con le finalità della l. 190/2012 siano ricondotte all’interno di un documento unitario che tiene luogo del Piano di prevenzione della corruzione anche ai fini della valutazione dell’aggiornamento annuale e della vigilanza dell’A.N.AC.. Separate considerazioni vanno svolte, laddove ordini e collegi professionali siano di dimensioni limitate e non siano dotati di pianta organica sufficiente ad implementare la normativa anticorruzione in maniera sostenibile per insufficienza di struttura organizzativa o limitato numeri di iscritti. Al riguardo, deve ragionevolmente riconoscersi la possibilità per gli ordini e collegi “di piccole dimensioni” di stipulare accordi ai sensi dell’art. 15 della l. 241/90, purché essi risultino comunque appartenenti ad aree territorialmente limitrofe e siano appartenenti alla medesima categoria professionale o a categorie professionali omogenee. Questa indicazione è, peraltro, coerente con quanto previsto nel d.lgs. 97/2016 in cui si esprime favore per l’aggregazione di enti di piccole dimensioni al fine della predisposizione del PTPC. La definizione di accordi tra ordini e collegi professionali, che consente di procedere alla redazione in comune di alcune parti del documento, non esime i singoli enti dalla nomina di un proprio RPCT e dall’adozione del PTPC o, comunque, di misure di prevenzione della corruzione. Ad esempio, potranno essere redatte in comune dagli ordini o collegi le parti del PTPC relative alla descrizione del contesto esterno di riferimento e, per i processi dello stesso tipo, anche del contesto interno. In quest’ultimo caso, le mappature dei processi a rischio di corruzione possono avere lo stesso contenuto nei singoli PTPC, ad eccezione della individuazione delle misure di prevenzione (ivi inclusi i responsabili, i tempi e le modalità di attuazione), che dovranno necessariamente essere adeguate alle peculiarità specifiche di ciascun ente. È auspicabile che ciascun Consiglio nazionale supporti i collegi e gli ordini territoriali nella predisposizione dei PTPC o delle misure di prevenzione della corruzione, al fine di migliorare la mappatura dei processi e la progettazione delle misure di prevenzione della corruzione. Ad esempio possono essere rese disponibili Linee guida e atti di indirizzo ovvero diffusi, a livello territoriale, alcuni contenuti-tipo dei PTPC, a cui gli ordini e collegi possono fare riferimento, ferma restando la necessità di un indispensabile adeguamento dei contenuti, in particolare quanto alle misure concretamente adottate, alle specifiche realtà dei singoli enti.
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1.3 Organo che adotta il PTPC o le misure di prevenzione della corruzione Secondo quanto previsto dalla l. 190/2012, il PTPC è adottato dall’organo di indirizzo (art. 1, co. 8). Negli ordini e nei collegi professionali, l’organo in questione è individuato nel Consiglio. Questa indicazione rileva anche ai fini dell’eventuale potere sanzionatorio che ANAC può esercitare ai sensi dell’art. 19, co. 5, del d.l. 90/2014. Tuttavia, per la specificità degli ordini professionali, è raccomandata una consapevole partecipazione e confronto del Consiglio con il RPCT ed, eventualmente, con l’Assemblea degli iscritti.
2. Esemplificazione di aree di rischio specifiche negli ordini e collegi professionali
Da una prima analisi delle funzioni svolte dagli ordini e collegi territoriali, così come dai Consigli nazionali delle professioni, è stato possibile individuare tre macro-aree di rischio specifiche. Per ciascuna area sono state individuate, a titolo esemplificativo e senza pretesa di esaustività, le attività a più elevato rischio di corruzione nonché esempi di eventi rischiosi e di misure di prevenzione.
Nondimeno, si sottolinea che le indicazioni contenute nel presente documento presuppongono la consapevolezza delle diversità di discipline esistenti fra i vari ordinamenti professionali. Inoltre, l’individuazione dei processi a rischio, degli eventi rischiosi e delle misure di prevenzione dovrà poi essere necessariamente contestualizzata nei PTPC dei singoli organismi, alla luce delle peculiarità ordinamentali e disciplinari delle diverse professioni.
Si premette che si è ritenuto, in questa fase, di escludere le attività riconducibili alla funzione giurisdizionale propria di alcuni Consigli nazionali (fra cui quelli degli ingegneri, degli architetti e dei geometri), in quanto si tratta di attività di natura non amministrativa, che i Consigli espletano nella loro qualità di giudice speciale, in conformità con i poteri loro espressamente conferiti dalla VI Disposizione transitoria e finale della Costituzione (cfr. sul tema la relazione illustrativa al d.p.r. 7 agosto 2012, n. 137, recante «Riforma degli Ordinamenti Professionali»).
Lo stesso vale per i procedimenti disciplinari condotti a livello territoriale, per i quali la recente riforma degli ordinamenti professionali ha previsto l’istituzione dei Consigli di disciplina territoriale, quali organi locali, «diversi da quelli aventi funzioni amministrative», ai quali affidare «l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari», prevedendo altresì l’incompatibilità tra la carica di consigliere dell’ordine e quella di membro dei Consigli di disciplina stessi (cfr. art. 3, co. 5, lett. f), decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, come convertito in legge 14 settembre 2011, n. 11). Ai sensi del d.p.r. 137/2012, infatti, la funzione disciplinare viene svolta da consiglieri di disciplina individuati tramite candidature proposte dall’ordine, in numero pari al doppio dei componenti da nominare, e designati dal Presidente del Tribunale in base a tale elenco (art. 8).
Fermi restando ulteriori approfondimenti o analisi condotte necessariamente dai singoli enti, di seguito si riporta una prima individuazione esemplificativa delle aree di rischio specifiche:
 formazione professionale continua;
 rilascio di pareri di congruità (nell’eventualità dello svolgimento di tale attività da parte di ordini e collegi territoriali in seguito all’abrogazione delle tariffe professionali);
 indicazione di professionisti per l’affidamento di incarichi specifici.
Per ciascuna delle tre aree di rischio si riportano di seguito, in via esemplificativa e non esaustiva, un elenco di processi a rischio, eventi corruttivi e misure di prevenzione. Si ribadisce che l’adozione di queste ultime richiede necessariamente una valutazione alla luce della disciplina dei singoli ordini e collegi professionali e l’effettiva contestualizzazione in relazione alle caratteristiche e alle dimensioni dei singoli ordini e collegi.
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2.1 Formazione professionale continua
La fonte di disciplina della formazione professionale continua è il Regolamento per l’aggiornamento della competenza professionale emanato dai singoli Consigli nazionali ex art. 7, co. 3, d.p.r. 137/2012 ed eventuali linee di indirizzo/linee guida per l’applicazione dello stesso. Ciascun ordinamento professionale ha, infatti, provveduto all’emanazione di un proprio regolamento in materia di formazione, previo parere favorevole del Ministero vigilante.
Per il trattamento di questa specifica area di rischio, si è concentrata l’attenzione sulla corretta identificazione dei processi e sulla corrispondente individuazione del rischio e delle connesse misure di prevenzione, di cui si riporta un elenco esemplificativo. In particolare ci si è soffermati sui seguenti processi rilevanti:
 esame e valutazione, da parte dei Consigli nazionali, della domanda di autorizzazione degli “enti terzi” diversi dagli ordini e collegi, erogatori dei corsi di formazione (ex art. 7, co. 2, d.p.r. 137/2012);
 esame e valutazione delle offerte formative e attribuzione dei crediti formativi professionali (CFP) agli iscritti;
 vigilanza sugli “enti terzi” autorizzati all’erogazione della formazione ai sensi dell’art. 7, co. 2, d.p.r. 137 del 2012, svolta in proprio da parte dei Consigli nazionali o dagli ordini e collegi territoriali;
 organizzazione e svolgimento di eventi formativi da parte del Consiglio nazionale e degli ordini e collegi territoriali.
Possibili eventi rischiosi:
 alterazioni documentali volte a favorire l’accreditamento di determinati soggetti;
 mancata valutazione di richieste di autorizzazione, per carenza o inadeguatezza di controlli e mancato rispetto dei regolamenti interni;
 mancata o impropria attribuzione di crediti formativi professionali agli iscritti;
 mancata o inefficiente vigilanza sugli “enti terzi” autorizzati all’erogazione della formazione;
 inefficiente organizzazione e svolgimento delle attività formative da parte del Consiglio nazionale e/o degli ordini e collegi territoriali.
Possibili misure
 controlli a campione sull’attribuzione dei crediti ai professionisti, successivi allo svolgimento di un evento formativo, con verifiche periodiche sulla posizione complessiva relativa ai crediti formativi degli iscritti;
 introduzione di adeguate misure di pubblicità e trasparenza legate agli eventi formativi dei Consigli nazionali e degli ordini e collegi professionali, preferibilmente mediante pubblicazione – nel sito internet istituzionale dell’ente organizzatore – dell’evento e degli eventuali costi sostenuti;
 controlli a campione sulla persistenza dei requisiti degli “enti terzi” autorizzati all’erogazione della formazione.
2.2 Adozione di pareri di congruità sui corrispettivi per le prestazioni professionali
La fonte della disciplina di questa attività è contenuta nell’art. 5, n. 3), legge 24 giugno 1923 n. 1395, nell’art. 636 c.p.c. e nell’art. 2233 c.c.
Nonostante l’abrogazione delle tariffe professionali, ad opera del d.l. 1/2012 (come convertito dalla l. 27/2012), sussiste ancora la facoltà dei Consigli degli ordini territoriali di esprimersi sulla «liquidazione di onorari e spese» relativi alle prestazioni professionali, avendo la predetta abrogazione inciso soltanto sui criteri da porre a fondamento della citata procedura di accertamento.
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Il parere di congruità resta, quindi, necessario per il professionista che, ai sensi dell’art. 636 c.p.c., intenda attivare lo strumento “monitorio” della domanda di ingiunzione di pagamento, per ottenere quanto dovuto dal cliente, nonché per il giudice che debba provvedere alla liquidazione giudiziale dei compensi, ai sensi dell’art. 2233 c.c..
Il parere di congruità, quale espressione dei poteri pubblicistici dell’ente, è riconducibile nell’alveo dei provvedimenti di natura amministrativa, necessitando delle tutele previste dall’ordinamento per tale tipologia di procedimenti.
Pertanto, nell’eventualità dello svolgimento della predetta attività di valutazione da parte degli ordini o collegi territoriali, possono essere considerati i seguenti eventi rischiosi e misure preventive:
Possibili eventi rischiosi
 incertezza nei criteri di quantificazione degli onorari professionali;
 effettuazione di una istruttoria lacunosa e/o parziale per favorire l’interesse del professionista;
 valutazione erronea delle indicazioni in fatto e di tutti i documenti a corredo dell’istanza e necessari alla corretta valutazione dell’attività professionale.
Possibili misure
 necessità di un regolamento interno in coerenza con la l. 241/1990, ove non già adottato in base all’autonomia organizzativa degli enti, che disciplini la previsione di: a) Commissioni da istituire per le valutazioni di congruità; b) specifici requisiti in capo ai componenti da nominare nelle Commissioni; c) modalità di funzionamento delle Commissioni;
 rotazione dei soggetti che istruiscono le domande;
 organizzazione delle richieste, raccolta e rendicontazione, su richiesta, dei pareri di congruità rilasciati anche al fine di disporre di parametri di confronto, eventualmente e se sostenibile, con una adeguata informatizzazione, nel rispetto della normativa in materia di tutela della riservatezza dei dati personali.
2.3 Indicazione di professionisti per lo svolgimento di incarichi
L’area di rischio riguarda tutte le ipotesi in cui gli ordini sono interpellati per la nomina, a vario titolo, di professionisti ai quali conferire incarichi.
Tra le varie fonti di disciplina vi è il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)», che prevede, in relazione alle attività di collaudo statico, ad esempio, che «Quando non esiste il committente ed il costruttore esegue in proprio, è fatto obbligo al costruttore di chiedere, anteriormente alla presentazione della denuncia di inizio dei lavori, all’ordine provinciale degli ingegneri o a quello degli architetti, la designazione di una terna di nominativi fra i quali sceglie il collaudatore» (art. 67, co. 4). Vi sono, poi, altri casi in cui normative di settore prevedono ipotesi in cui soggetti pubblici o privati possono rivolgersi agli ordini e collegi territoriali al fine di ricevere un’indicazione sui professionisti iscritti agli albi o registri professionali cui affidare determinati incarichi.
Possibili eventi rischiosi
Nelle ipotesi sopra descritte e negli altri casi previsti dalla legge, gli eventi rischiosi attengono principalmente alla nomina di professionisti – da parte dell’ordine o collegio incaricato – in violazione dei principi di terzietà, imparzialità e concorrenza. Tale violazione può concretizzarsi, ad esempio, nella nomina di professionisti che abbiamo interessi personali o professionali in comune con i componenti dell’ordine o collegio incaricato della nomina, con i soggetti richiedenti e/o con i destinatari delle prestazioni professionali, o di professionisti che siano privi dei requisiti tecnici idonei ed adeguati allo svolgimento dell’incarico.
Possibili misure
Le misure preventive potranno, pertanto, essere connesse all’adozione di criteri di selezione di candidati, tra soggetti in possesso dei necessari requisiti, mediante estrazione a sorte in un’ampia rosa di professionisti (come avviene per la nomina dei componenti delle commissioni di collaudo).
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È di fondamentale importanza, inoltre, garantire la trasparenza e la pubblicità delle procedure di predisposizione di liste di professionisti, ad esempio provvedendo alla pubblicazione di liste on-line o ricorrendo a procedure di selezione ad evidenza pubblica, oltre che all’assunzione della relativa decisione in composizione collegiale da parte dell’ordine o del collegio interpellato.
Qualora l’ordine debba conferire incarichi al di fuori delle normali procedure ad evidenza pubblica, sono auspicabili le seguenti misure:
 utilizzo di criteri di trasparenza sugli atti di conferimento degli incarichi;
 rotazione dei soggetti da nominare;
 valutazioni preferibilmente collegiali, con limitazioni delle designazioni dirette da parte del Presidente, se non in casi di urgenza;
 se la designazione avviene da parte del solo Presidente con atto motivato, previsione della successiva ratifica da parte del Consiglio;
 verifica dell’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interesse nei confronti del soggetto che nomina il professionista a cui affidare l’incarico richiesto, del professionista designato, dei soggetti pubblici o privati richiedenti, del soggetto destinatario delle prestazioni professionali;
 eventuali misure di trasparenza sui compensi, indicando i livelli più alti e più bassi dei compensi corrisposti, nel rispetto della normativa dettata in materia di tutela della riservatezza dei dati personali.
3. Trasparenza ai sensi del d.lgs. 33/2013
Chiarita la diretta applicabilità agli ordini e collegi professionali della disciplina contenuta nel d.lgs. 33/2013, in quanto compatibile, secondo quanto già rilevato in premessa, l’Autorità adotterà, come già chiarito nella parte generale al § 7.1., specifiche Linee guida volte a fornire indicazioni per l’attuazione della normativa in questione, da considerare parte integrante del presente PNA.
Saranno, pertanto, forniti chiarimenti in ordine al criterio della “compatibilità” e ai necessari adattamenti degli obblighi di trasparenza in ragione delle peculiarità organizzative e dell’attività svolta dagli ordini e collegi professionali, in linea con quanto l’Autorità, per i principali obblighi, ha già dettagliato per le società pubbliche e gli altri enti di diritto privato con determinazione n. 8/2015.

Ultimo aggiornamento

6 Agosto 2016, 00:14

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