Pratiche “alternative” ed esercizio abusivo della professione medica

Data:
19 Dicembre 2007

Una persona è stata condannata dalla Corte di Appello di Genova per aver abusivamente esercitato la professione di medico senza essere iscritto ad alcun albo provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri in quanto privo della relativa abilitazione dello Stato.
Il condannato esercitava l’attività di iridologo e di naturopata e si è difeso sostenendo che non si è mai arrogato il titolo di dottore e tanto meno quello di dottore in medicina e che la sua attività si inserisce nel filone della cosiddetta medicina complementare o alternativa.
Concludeva affermando che la sua attività era lecita e consentita, non sconfinante nell’arte medica e neppure disciplinata dall’ordinamento giuridico italiano o dal medesimo vietata.
Ma le suddette censure non sono state accolte dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 16626 depositata il 04/05/2005, ha chiarito che nella fattispecie "non è in questione la possibilità di esercitare le pratiche della c.d. medicina alternativa" soggiungendo che "il chiropratico, il naturopata e l’iridologo sono liberi di svolgere la loro attività ma qualificandosi come tali, in modo … da non ingenerare nel pubblico l’opinione che essi siano dei medici e, soprattutto … senza esercitare, assolutamente, competenze che spettano soltanto a chi è laureato in medicina e chirurgia".
La ritenuta applicabilità dell’art. 348 c.p. e la conseguente pronuncia di condanna dell’imputato non sono dunque fondate su di una generica ed aprioristica preclusione dell’esercizio di particolari pratiche a soggetti che non sono in possesso della abilitazione all’esercizio della professione medica ma sul fatto che il ricorrente ha compiuto atti propri e tipici della professione medica, rilasciando ricette e prescrivendo farmaci, e che ha tenuto questo comportamento in un contesto organizzativo ed operativo tale da accreditare l’opinione che egli fosse in possesso di una qualificazione professionale in campo medico che in realtà non possedeva.
Al riguardo va considerato che il rilascio di ricette e la prescrizione di farmaci non perdono il loro carattere "tipico" e "riservato" agli esercenti la professione medica per il solo fatto che il medicinale prescritto rientri tra quelli liberamente venduti in farmacia giacchè la "prescrizione" di un medicinale da parte di un terzo che si presenta dotato di particolari competenze mediche è destinata comunque ad influire sulle modalità di assunzione del farmaco, sulla durata di tale assunzione, sulla interpretazione da parte del fruitore di eventuali reazioni (anche negative) al farmaco stesso ed in definitiva sulla percezione della natura e dei risultati della cura realizzata attraverso il medicinale.

Ultimo aggiornamento

1 Luglio 2014, 12:24

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