Il 112 tra ritardi e operatori impreparati. Il numero unico finisce sotto accusa (da “La Stampa” del 9 agosto 2017)

Data:
9 Agosto 2017

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Solo alcune Regioni lo hanno attivato, ma i disservizi sono quotidiani

Dove c’è lo criticano. Dove ancora non è stato realizzato lo faranno al massimo entro la fine del 2018. Ma lo criticano già adesso: «Perché tanto avremo gli stessi problemi che hanno nel resto d’Italia».

Eccolo qui il 112 , il «Numero unico dell’emergenza» che ha già cambiato, per quasi mezzo Paese, il modo di rapportarsi dei cittadini con tutto ciò che ha a che fare con l’emergenza. Di qualunque tipo sia. Il «911» degli Stati Uniti, per capirci, quello dei telefilm dove c’è sempre un centralinista che riceve una chiamata della persona in difficoltà e in un attimo – e senza troppe domande – mobilita tutti: ambulanze, pompieri, polizia. Ecco: il «112» italiano – in realtà è anche il numero per le emergenza di tutta Europa – dovrebbe diventare una cosa analoga.

Dovrebbe. Perché nella realtà è un’altra storia. Per dire: quello di Torino – entrato in funzione a marzo – è finito nel mirino dei sindacati della Polizia, del 118 e dei Vigili del fuoco. E questi ultimi hanno addirittura preparato un libro bianco con tutti i guai della centrale operativa unica e hanno presentato un esposto in Procura. L’accusa più frequente: «Ci allertano anche con 15 minuti di ritardo». In altre parti d’Italia ci sono state interrogazioni parlamentari – una per mano di Giulia Bongiorno, dopo un caso a Roma per l’incendio in un bar – e indagini delle procure. Perché il nostro «911», mettiamoci il cuore in pace, non ha nulla a che vedere con quello a stelle e strisce.

Intanto, non c’è ancora in modo uniforme da Bolzano alla Sicilia. Sono partiti la Liguria, la Lombardia, il Piemonte, il Trentino, la Sicilia ed il Lazio. Sta per decollare quello veneto. Umbria e Marche, invece, hanno deciso di fondersi (per quanto riguarda l’emergenza) e fare una sola centrale che serva le due regioni. Un po’ come la Valle d’Aosta che dipende dalla centrale Piemontese di Torino. Altrove? Se ne parla. Ed è dal 1991 che se ne discute. E nel 2002, il ministro Beppe Pisanu lo dava per certo entro l’anno. Da allora i rinvii sono stati infiniti. Fino a che l’Europa ha multato l’Italia con 40 milioni e così si è partiti. Ma senza unificare le centrali. Il risultato è un ibrido che ha fatto crescere il numero delle sale operative esistenti in Italia, che erano già più di 800. E il 112 non ne cancellerà mai nessuna.

Dietro i telefoni non ci sono poliziotti come nei telefilm ma operatori civili (in qualche caso, come a Trento, ex volontari di protezione civile assunti ad hoc per lavorare in centrale) e formati con un corso di due mesi – o anche meno – che smistano le chiamate a chi deve intervenire. Nella stragrande maggioranza sono invece ex ambulanzieri della Croce Rossa (che prima di diventare privata ha attivato meccanismi di trasferimento per gli ex dipendenti), che conoscono bene i problemi sanitari, ma con il resto – dagli incendi alle rapine – hanno poca dimestichezza.

La base di lavoro è un elenco con 32 tipologie di intervento preparato dal ministero dell’Interno. Chi riceve la chiamata, grazie a quel vademecum, dovrebbe sapere immediatamente chi deve attivare. «E i guai si vedono: gli operatori della sanità allertano il 118 ma hanno poca dimestichezza con il soccorso. E, ad esempio, spesso non avvisano i pompieri», accusa Alessandro Maglione del Conapo dei Vigili del fuoco.

C’è di più. «In questo modo il cittadino fa un doppio passaggio che rallenta il soccorso» accusano i sindacati di polizia – da destra a sinistra sono sulla stessa lunghezza d’onda – che ovunque hanno a lungo protestato per questa scelta. E un doppio passaggio lo è davvero, perché prima si spiega la ragione della chiamata all’operatore del 112, si forniscono i dati richiesti. Poi si aspetta che la chiamata venga girata a chi di competenza: polizia, carabinieri, soccorso sanitario o Vigili del fuoco. A cui si deve di nuovo dire qual è il problema e rispondere ad altre domande. «E così si perde tempo prezioso, si irrita il cittadino e viene meno la risposta pronta di cui si parla nelle linee guida del servizio 112 stilato dall’Europa» accusano i sindacati della sanità.

Ciò che tutti chiedono a gran voce – ma ormai la scelta politica è fatta e difficilmente si farà retromarcia – è la creazione di sale interforze. Cioè con operatori del soccorso, della sicurezza che fanno quello di mestiere. Non centralinisti. Così da organizzare al meglio l’intervento. Ma si tratta di utopie. «Hanno sbagliato tempi e modi su tutto. Hanno messo un numero, sperando di risolvere tutti i problemi. Invece hanno solo accresciuto il disagio» tuona Eugenio Bravo del Siulp, il più grande sindacato della Polizia di Stato.

Tutto sbagliato? A sentire Danilo Bono, medico piemontese che ha partecipato alla creazione del 112, il numero unico ha enormi potenzialità. Criticità? «Qualcosa ci può esser stato. Ma nulla di così grave». E allora perché tutte queste accuse e queste polemiche? «I cambi epocali sono sempre criticati, ma il futuro ci darà ragione. Lo sapete che prima della nascita del 118 esistevano mille numeri per chiamare l’ambulanza?».

Ultimo aggiornamento

9 Agosto 2017, 13:32

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