I medici e il mito perduto. Perché è importante indossare il camice e visitare i pazienti (da quotidianosanita.it del 24 aprile 2018)
Data:
24 Aprile 2018
Il mito della medicina mostra tutti i suoi anni, anzi, secoli. Ma quanto contribuiamo noi medici ad incrinarlo, recriminando poi sulla perdita di prestigio? Tutto è collegato; il mito richiede il rito e i suoi simboli. Se questi mancano non possiamo lamentarci della decadenza del mito del dottore. Quindi Indossiamo il camice e visitiamo la gente senza cedere alle lusinghe del mezzo elettronico, della e-medicine
Un buon punto di partenza per riflettere sul ruolo del medico quale intermediario tra una scienza in incredibile evoluzione tecnologica e una società in continua trasformazione.
Non è semplice ricostruire la storia dei rapporti tra medico e paziente e tra classe medica e società. Rapporti controversi e oscillanti tra diffidenza, sfiducia, speranza, rispetto, illusioni e delusioni.
L’argomento riguarda sociologi, antropologi, studiosi di scienze umane; non ho competenza per intervenire ma, da medico pratico, propongo alcune osservazioni, a mio avviso, pertinenti.
Indubbiamente, nell’epoca della massima fede nel progresso, la scienza medica ha creato fin troppe speranze che si sono rivelate illusioni. La mia vuol essere soltanto un’osservazione collaterale rispetto al pensiero sociologico sulla medicina e sull’antropologia del rapporto di cura.
La medicina ha senz’altro un carattere mitico. In tutte le culture vi è un fondatore mitico, nell’antica Grecia Asclepio, che è in grado di guarire, risponde cioè a un’esigenza antropologica, quella di interrompere con qualsiasi mezzo o strumento, per mezzo di un mediatore, il decorso naturale della malattia, opponendosi alla morte. L’esplosione cognitiva e tecnologica degli ultimi due secoli ha enfatizzato il mito della salute perenne, del giovanilismo, dell’immortalità, cosicché la medicina moderna occupa un posto fondamentale nell’immaginario collettivo.
I miti si manifestano nei riti, atti codificati dalla tradizione e necessari per ricordarne ai fedeli la concretezza. Non v’è dubbio che il rito che ha caratterizzato nel tempo la medicina è la visita. In questa, da un lato si svela la narrazione del paziente, dall’altro si manifestano in atti concreti, gestuali, i significati antropologici del mito. Il paziente si spoglia fisicamente e spiritualmente, viene toccato dal guaritore, ne compensa l’opera con donazioni o onorari.
Ma il mito ha bisogno di simboli e la medicina ne ha molti. Da quasi due secoli il candore del camice raffigura esemplarmente il ruolo del medico e lo distingue. Oggi il camice non si usa più come prima; intanto la forma spesso simile a una gabbanella, poi il coloro verde dei chirurghi, infine la lunghezza ovvero la forma simile a un minicamice. Quel che gli anglosassoni chiamano hidden curriculum, cioè il comportamento appreso dai giovani osservando e imitando i colleghi anziani e che risponde da un lato alle attese della società dall’altro allo stereotipo che i medici hanno di sé, il proprio vissuto categoriale, si è deviato rispetto al mito che, invece, persiste uguale.
Oggi il medico delude le attese dei pazienti perché assai poco li visita. E’ vero che spesso i dati di laboratorio e radiologici sono sufficienti, ma il paziente quando va dal medico vuol essere visitato, ascoltato, toccato, insomma la visita è un fatto fisico. Il medico rileva i dati dal computer e formula una diagnosi. Questa è sicuramente corretta ma non ha lo stesso valore, rappresenta la performance del computer non quella del medico e il paziente, invece, ha espresso fiducia nel professionista con cui vorrebbe parlare mentre il mezzo elettronico non risponde. Il medico spesso è in borghese o vestito in modo indistinguibile.
Nella bufera che ci sovrasta della distruzione di innumerevoli professioni sostituite dai robot, dall’intelligenza artificiale, dalle macchine che suppliranno non solo al lavoro manuale ma anche a quello intellettuale, quando un medico in una stanza lontana controllerà i parametri di molti pazienti cui invierà istruzioni via app, si dice che le attività relazionali sopravviveranno.
Allora, la di là dei problemi formativi grossi come macigni, l’ascolto lo pensiamo come un asettico rapporto tra soggetti morali o come un confronto tra esseri umani, il medico e il paziente, che vivrà sempre questo incontro come fisico, la visita, accompagnata dal rito del setting medico, del camice, con tutte le sottigliezze dell’aptica e della prossemica?
Il mito della medicina mostra tutti i suoi anni, anzi, secoli. Ma quanto contribuiamo noi medici ad incrinarlo, recriminando poi sulla perdita di prestigio? Tutto è collegato; il mito richiede il rito e i suoi simboli. Se questi mancano non possiamo lamentarci della decadenza del mito del dottore. Indossiamo il camice e visitiamo la gente senza cedere alle lusinghe del mezzo elettronico, della e-medicine. La medicina virtuale è un ausilio portentoso ma non è la vera medicina.
Mi rendo conto che così si rivalutano parole desuete come dignità e decoro, ma il ruolo del medico è la manifestazione esteriore della sua identità e non può ignorare una codificazione analogica che il paziente riconosce.
Antonio Panti
Ultimo aggiornamento
24 Aprile 2018, 14:33
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