Formia, lettera di un emotrasfuso: “Crudele chiudere il centro trasfusionale”

Data:
27 Febbraio 2014

www.h24notizie.it Una lettera struggente e indignata da parte di un utente emotrasfuso del centro trasfusionale di Formia che si rivolge al direttore del centro, Giovanna Biondino, e al responsabile del neonato Comitato Emotrasfusi, Angelo Riccardelli.

Una missiva per protestare e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla “crudeltà”, così la definisce, della decisione del governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti di convertire il centro trasfusionale in semplice centro di raccolta sangue.

Decisione che getta nello sconforto l’autore della lettera, in previsione dello stile di vita che sarà costretto a intraprendere a seguito del provvedimento. Non solo la grave patologia con la quale è costretto a convivere, ma ora sono all’orizzonte per casi analoghi al suo lunghi e faticosi spostamenti. Oggi, pur non avendo più bisogno di trasfusioni grazie a una nuova terapia, non risparmia di esprimere tutta la sua contrarietà al provvedimento e solidarietà a chi sarà costretto a vivere questo disagio.

“Sono un paziente, residente a Formia, che per ragioni di privacy si identifica  come V.N. e voglio riportare la mia esperienza presso il Centro Trasfusionale di Formia.

‘’Nell’estate 2011, all’età di cinquantasette anni, mi è stata diagnosticata una grave e rara patologia ematologica: una mielofibrosi idiopatica. Chi ne è affetto, tra gli altri sintomi, manifesta una grave anemia, al punto da diventare un trasfuso-dipendente. Le mie prime trasfusioni sono state effettuate presso il Centro di Ematologia del Policlinico ‘’Umberto I’’di Roma. Preciso che un protocollo trasfusionale prevede preliminarmente un test ematico di compatibilità, la prova crociata, per poi consentire, entro le successive quarantotto o, al massimo, settantadue ore, la trasfusione.

Tale prassi, assolutamente necessaria, comportava due giorni di assenza dal lavoro e, spesso, determinava lunghe attese presso il Centro, dalle due fino alle sei-otto ore. Lascio solo immaginare una mia giornata tipo, sommando a tutto ciò le necessità logistiche per percorrere i circa 150 KM che mi separano dal Policlinico romano. Taccio, infine, sul disguido creato al familiare accompagnatore, dato che il mio basso livello di emoglobina non mi consentiva la piena autonomia negli spostamenti. Non era sicuramente un contributo salutare per lo stato psico-fisico di un malato oncologico.

Dopo alcuni mesi ho scoperto l’esistenza del Centro Trasfusionale di Formia. Da allora ho avuto un cambiamento davvero significativo della mia qualità di vita, visto che necessitavo di una trasfusione ogni otto-dieci giorni. Nel Centro Trasfusionale di Formia ho trovato professionalità e disponibilità. Mi hanno permesso di continuare per circa un anno la terapiaemotrasfusionale, riducendo al minimo i tempi di attesa, nel rispetto dei normali ritmi di vita e di lavoro.

Oggi grazie all’efficacia di un nuovo tentativo terapeutico, non ho necessità di trasfusioni, ma alla notizia della possibile chiusura del Centro Trasfusionale, sento il bisogno di esprimere tutta la mia rabbia e la mia indignazione. Se solo pensassi allo stress a cui sono stato sottoposto nel dover affrontare un viaggio di 300 Km, per due volte in quarantotto ore, per una trasfusione, e a tanti pazienti in condizioni fisiche ancor più precarie delle mie, non trovo giustificazioni per la crudeltà di una tale decisione.

La vita di un paziente affetto da grave patologia ha davvero così poco valore? Non è già vittima di una dissennata gestione del territorio? Non merita di riconoscimento per la propria malattia e la propria sofferenza? Perché sono sempre gli ultimi a dover pagare?’’

Ultimo aggiornamento

27 Febbraio 2014, 07:33

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