Dal nord Europa a caccia di medici. Il Veneto nel mirino, ecco il quadro (da Doctor 33 del 22 gennaio 2019)

Data:
24 Gennaio 2019

La notizia viene dal Veneto: funzionari tedeschi, olandesi, danesi o loro emissari recluterebbero negli ospedali medici italiani proponendo stipendi doppi o tripli, un tutor personale per la lingua, persino la casa.

E qualcuno, fatti due conti e intravista una carriera in un contesto accogliente, avrebbe deciso di andar via.

«Non si punta necessariamente sui più giovani: hanno già profili ricercati in determinate specialità, vanno nei reparti, e qui sono rappresentate tutte le età; è chiaro che i più giovani sanno bene l’inglese, hanno l’Erasmus alle spalle, e visti i limitati sbocchi prendono l’occasione al volo.

Ecco che il ricambio, in una regione dove ci sono 1295 ospedalieri in meno rispetto al fabbisogno, si impoverisce ancora di più».

Giovanni Leoni leader del sindacato Cimo in Veneto e presidente dell’Ordine dei Medici di Venezia, dopo aver lanciato l’allarme sulla carenza di medici sui media locali e nazionali, ha chiesto e ottenuto un incontro degli Omceo veneti con il Direttore generale della sanità regionale Domenico Mantoan.

La Regione, in pieno iter per conseguire l’autonomia, punta su un tavolo con gli ordini per rimediare alle carenze di medici di famiglia e specialisti.

Nell’incontro sarebbe stata ribadita la volontà di assumere a tempo determinato non specialisti, che lavorerebbero in corsia al fianco dei colleghi specializzandi con borsa di studio nazionale o regionale.

Si parla poi di assumere nelle Ulss medici del triennio di medicina generale per gestire i pazienti non urgenti nei pronto soccorso e di aumentare gli stipendi con risorse proprie (e qui serve una trattativa con il governo).

«Il nodo è che mancano specialisti, in assoluto e soprattutto in certi ambiti “rischiosi”, ad esempio la chirurgia è stata prima scelta quest’anno per soli 95 candidati su 6500 posti disponibili tra tutte le specialità», ricorda Leoni.

«Il rimedio ideale sarebbe incrementare i posti nelle scuole, spedire all’ultimo anno di post-laurea lo specializzando in ospedali dedicati, e dargli la chance di accedere ai concorsi, come scritto ora in Finanziaria.

L’alternativa è assumere medici laureati, iscriverli in sovrannumero alla scuola di specializzazione e intanto farli lavorare».

Non sarebbe un film mai visto.

«Si tratterebbe di fatto del ritorno della figura di assistente, con autonomia limitata in ambito dirigenziale, ma diffusa in passato, quando negli ospedali c’erano tre livelli con l’aiuto e il primario.

L’ipotesi è giustificata dalla necessità di tamponare l’emergenza e di attingere nel contempo a un bacino di oltre 10 mila medici rimasti fuori da specialità e medicina generale».

Il Veneto non è la sola regione dove è stata fatta la riflessione.

In tutto negli ospedali italiani mancherebbero 15-20 mila unità su un bacino globale di 120 mila medici.

Leoni evoca «ambiti come i Ps ed anestesia e rianimazione che stanno vivendo situazioni drammatiche.

Non che all’estero sia sempre meglio; ma come si vede alcuni servizi sanitari si rivolgono al nostro e portano via colleghi che non tornano».

C’è di più: i giovani, divenuti specialisti, in 15 casi su 100 lascerebbero subito l’Italia.

A rendere poco appetibile l’ospedale nostrano non è solo il blocco dei contratti, ma anche il metodo di assegnazione dei medici alle specialità, «frutto di una centralizzazione che, nata per evitare clientelismi, ha finito per penalizzare gli ideali.

Se vuoi fare il cardiologo -esemplifica Leoni- può pesarti iscriverti a Chirurgia.

Hai una “mission”, lo fai, ma se poi passi il test di cardiologia cambi scuola e lasci il posto vacante».

Su 6500 contratti l’Associazione Liberi Specializzandi-Fattore 2° guidata da Massimo Minerva ha censito 510 abbandoni in un anno tra il 2016 e il 2017, ma il numero 2017-18 sarebbe più alto, di 850.

«Posti che si liberano ogni anno e restano inutilizzati.

Vanno aggiunte ragioni di costo: classificandosi più indietro si può trovare posto in atenei di città lontane, e il trasferimento pesa».

Senza rimettere le mani sul concorso, servono più borse o più assunzioni.

E più convenzioni?

«In medicina generale quest’anno in Veneto con 120 borse rispetto alle 60 di un anno fa forse iniziamo a respirare, e le nuove misure prese in ambito nazionale, dove si passa da 800 a 2000 borse, dovrebbero durare.

Più complessa temo la situazione di certe specialità. Dall’esperienza in questa regione, dove gli accordi ospedali-atenei consentono agli specializzandi di crescere per gradi in piccoli ospedali e apprendere “tutto”, avverto come in ogni reparto per crescere siano indispensabili tutte le età lavorative.

E’ la forza del nostro Ssn».

Ma se si toglie un mattone dal domino la struttura vacilla.

Mauro Miserendino

 

Ultimo aggiornamento

25 Gennaio 2019, 05:48

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