Da Latina a Caserta, la migrazione obbligata per le donne che vogliono abortire

Data:
1 Luglio 2014

www.latina24ore.it L’interruzione di gravidanza, un evento traumatizzante per chi sceglie di farlo, può trasformasi in una vera odissea. C’è una sorta di “migrazione”, di città in città, o di Regione in Regione, poiché molti ospedali non soddisfano la richiesta.

Da Latina, ad esempio, dove ci sono moltissimi obiettori di coscienza tra i medici, molte donne sono costrette ad andare a Caserta dove c’è una clinica convenzionata, la casa di cura Sant’Anna.

La denuncia arriva dalla Laiga (Associazione dei ginecologi favorevoli all’applicazione della 194) nel corso dell’incontro “Il buon medico non obietta” ospitato oggi presso la Camera dei Deputati per fare il punto sull’applicazione reale della legge sull’aborto.

«Nel 2012 al Coordinamento per la 194 (che reperisce un posto alle donne che non hanno trovato risposta alla domanda altrove) erano arrivate 1550 pazienti: solo il 34% veniva da Roma, il resto da fuori». A rivelare i dati, frutto di un’indagine condotta nel 2012 andando a verificare la situazione nelle strutture dalle quali provenivano notizie di disservizio, è Silvana Agatone, ginecologa dell’Ospedale Pertini di Roma e presidente della Laiga.

«Ad Ascoli Piceno, solo il 22% delle donne proveniva dalla città, le altre dal nord delle Marche. A Caserta c’è una clinica convenzionata che effettua la maggior parte delle interruzioni, ma solo il 34% proviene da lì, il resto da Latina, Frosinone, Napoli». Nel reclamo portato dalla Laiga al consiglio d’Europa, si prosegue con i dati della Puglia.

«I medici dell’Ospedale San Paolo di Bari, nel 2012 fecero obiezione in massa, per cui le donne dovevano andare a Putignano o Monopoli per abortire. Le donne di Brindisi, dove nel 2012 non c’erano ginecologi non obiettori, dovevano andare a Ostuni dove ce n’era solo uno, così come a Taranto». Questi i dati che la Laiga denuncia come «migrazione dei diritti». Con conseguenze sulla salute delle donne, che devono spostarsi fisicamente da una città all’altra «per veder riconosciuto un diritto», ma non solo. «Prima di individuare la struttura adatta passano anche settimane, tempo prezioso per riuscire a non andare oltre il termine dei tre mesi previsti per legge».

Una vera e propria «migrazione dei diritti» dovuta al fatto che in Italia 7 medici su 10 rifiutano di effettuare le interruzioni gravidanza, con picchi dell’84% in regioni come la Campania. Eppure secondo l’ultima relazione del Ministero della Salute, il numero dei ginecologi che non obietta è sufficiente a coprire la richiesta, poichè sarebbe calato anche il numero degli aborti volontari.

«In realtà molte decidono di provvedere da sole. Si abortisce con pillole per la gastrite che si comprano in rete o, specie le straniere, in studi illegali», spiega Laura Fiore, autrice del libro ‘Abortire tra gli obiettorì a partire dal quale è nato un blog ‘Aborto Terapeutico e non’, su cui donne di tutta Italia, accomunate dalle difficoltà incontrate nell’effettuare l’interruzione di gravidanza, si scambiano esperienze. Nella propria Regione o altrove molte di loro devono affrontare un’altra difficoltà quella della ‘condanna eticà.

«Abortire tra gli obiettori significa farlo senza assistenza, in solitudine o guardata come una colpevole», aggiunge Fiore, che ha fatto quest’esperienza sei anni fa a Napoli. «Molto spesso non si denuncia perchè non si hanno testimoni e quanto si sostiene non è dimostrabile perchè non risulta sulla cartella clinica».

Ultimo aggiornamento

1 Luglio 2014, 07:29

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